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VIDEO | ‘Ndrangheta, sempre più madri chiedono aiuto al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria

'Liberi di scegliere' è il progetto che si propone di offrire a bambini e ragazzi appartenenti a famiglie di 'ndrangheta la possibilità di un futuro diverso, fuori dai contesti criminali

Pubblicato:18-02-2020 14:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:00

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ROMA – Si chiama ‘Liberi di scegliere’ il progetto del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria realizzato per offrire a bambini e ragazzi appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta la possibilità di un futuro diverso, fuori dai contesti criminali.

Al centro del libro scritto dall’avvocata, docente universitaria e componente esperta del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Patrizia Surace, assieme al presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, e pubblicato nell’aprile 2019 per Rubettino Editore, la “trama di solidarietà educativa” nata nel 2013 che coinvolge circa 70-80 minori di diverse età in un percorso che il 5 novembre 2019 ha segnato un’ulteriore tappa di consolidamento della rete.

“Lo scopo del progetto è offrire a questi ragazzi un’alternativa di vita al contesto asfissiante che purtroppo subiscono a seguito dell’indottrinamento nelle loro famiglie – spiega in un’intervista all’agenzia Dire Surace – Lo facciamo attraverso una rete molto solida che si è realizzata negli anni con il supporto di Libera e Unicef” e si è consolidata “con l’ultimo protocollo siglato il 5 novembre 2019, tra gli altri, con Miur, ministero della Giustizia e Cei”.


SURACE: LE FAMIGLIE DI ‘NDRANGHETA HANNO BISOGNO DELLE NUOVE GENERAZIONI PER CONSOLIDARE IL LORO POTERE SUL TERRITORIO”

Le famiglie di ‘ndrangheta “per consolidare il proprio potere sul territorio hanno bisogno delle nuove generazioni”, spiega Surace. Per questo, “ci siamo posti il problema – sottolinea – se questi genitori, pur essendo presenti da un punto di vista strettamente materiale, fossero adeguati rispetto ai criteri normativi della responsabilità genitoriale nei casi di partecipazione alle attività criminali della famiglia, alle faide, o di disinteresse rispetto a quello che dovrebbe essere un percorso educativo adeguato alle necessità di crescita di un fanciullo o di un ragazzo. Quando in concreto si verifica la partecipazione diretta di questi ragazzi alle attività criminali siamo di fronte ad una condizione di pregiudizio su cui il Tribunale per i minorenni può e deve intervenire”.

Gli strumenti utilizzati in sede civile “sono sempre quelli previsti dall’ordinamento giuridico, quindi la limitazione, sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale in funzione dell’obiettivo di offrire ai ragazzi un’alternativa di vita”.

SONO SOPRATTUTTO LE MADRI A CHIEDERE AIUTO PER LORO STESSE E PER I LORO FIGLI

L’allontanamento, precisa Surace, “non eè un meccanismo automatico, ma è considerata l’extrema ratio. Non si rinnegano la famiglia, gli affetti, ma si cerca la collaborazione dei genitori disponibili”. E spesso, “soprattutto negli ultimi due anni” sono proprio “le madri a chiedere aiuto per loro stesse e per i propri figli” e ad “allontanarsi con loro con il supporto dell’Unicef”, perchè non è scontato che l’allontanamento si traduca per i minori in una collocazione in casa famiglia.

“Non è una deportazione – ci tiene a specificare l’avvocata – ma un percorso costruito per e con i ragazzi”. E nell’esperienza del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, “spostandoci ad un contesto più generale e ampio di disagi familiari, è capitato anche di celebrare processi molto delicati, dove i minori avevano commesso l’omicidio per eccellenza, cioè avevano ucciso uno dei genitori.

Di fronte a condotte di questo tipo – conclude Surace – si pone il problema se sussista o meno un quadro di imputabilità al momento del fatto. Ci è capitato talvolta di riscontrare che l’imputabilità era piena, nonostante la gravità della condotta omicidiaria. La riflessione ulteriore che poi ci consente di giocare come società civile la partita della rieducazione di questi ragazzi è nella fase successiva, cioè durante l’esecuzione della pena”, che “dovrà avere al centro di tutto questo percorso di educazione e, quindi, di esecuzione penale, la loro realtà esistenziale con una prospettiva di reinserimento sociale che dovrà essere attentamente vagliata dagli operatori penitenziari”.

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