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In Italia più di un lavoratore su dieci è povero. “Sperimentare il salario minimo”

Un documento del ministero del Lavoro mostra che nel 2019 l'11,8% dei lavoratori italiani era povero e propone di introdurre il salario minimo per alcuni settori

Pubblicato:18-01-2022 17:03
Ultimo aggiornamento:18-01-2022 17:03

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ROMA – Lavorare non è sempre sufficiente per non essere poveri, e questo non è vero solo in Italia. “Nel nostro Paese il fenomeno della povertà lavorativa è più marcato che negli altri Stati europei: l’indicatore di Eurostat mostra che nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La pandemia da Covid ha presumibilmente esacerbato il fenomeno, esponendo a più alti rischi di disoccupazione chi aveva contratti atipici e riducendo il reddito disponibile di chi ha avuto accesso agli ammortizzatori sociali e alle misure emergenziali introdotte per far fronte alle conseguenze della recessione”. È quanto emerge dal documento conclusivo del gruppo di lavoro sulla povertà lavorativa in Italia, coordinato dall’economista Andrea Garnero e presentato con il ministro Andrea Orlando nel corso di una conferenza stampa.


“Una strategia di lotta alla povertà lavorativa richiede una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un
sistema redistributivo ben mirato”, si legge. “Una strategia complessiva, però, dovrebbe anche affrontare le debolezze macroeconomiche e di politica industriale, le politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione con l’obiettivo di aumentare quantità e qualità del lavoro nel nostro Paese”.

Gli economisti che hanno realizzato lo studio propongono di garantire i “minimi salariali adeguati” come “condizione necessaria”. Poi, “una volta fissato un minimo salariale per via contrattuale o legale, è essenziale che questo minimo sia rispettato“. Inoltre, In Italia, “solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una qualche prestazione di sostegno al reddito rispetto al 65% in media europea. In particolare, in Italia manca uno strumento per integrare i redditi dei lavoratori poveri, un in-work benefit (letteralmente trasferimento a chi lavora), che permetterebbe di aiutare chi si trova in situazione di difficoltà economica e incentiverebbe il lavoro regolare. Un in-work benefit in Italia dovrebbe assorbire gli ’80 euro’ e la disoccupazione parziale per arrivare a uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il resto del sistema”.



A queste tre misure è possibile affiancare altre iniziative “per incentivare le imprese a pagare salari adeguati con forme di accreditamento oppure di ‘name and shame’ per chi, al
contrario, non rispetta la normativa sul lavoro. Per i lavoratori, poi, servono strumenti e campagne per aumentare la leggibilità dei contratti e dei vari strumenti di sostegno al
reddito per assicurarsi che i lavoratori che ne hanno bisogno possano avervi effettivamente accesso
. È importante, inoltre, un’adeguata e tempestiva informazione sulle prospettive pensionistiche per mettere in risalto i rischi derivanti dal cumulo di situazioni di svantaggio”, prosegue il documento.

Tra gli strumenti da mettere in campo, secondo il gruppo di lavoro del ministero guidato da Orlando, c’è anche “una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori, caratterizzati da maggiore criticità. Un’opzione che, pur apportando solo una risposta parziale e non esente da complessità, potrebbe fornire una prima e temporanea soluzione mentre prosegue il dibattito sullo strumento più adatto a livello nazionale”.

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