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A Berceto (Parma), dove i rifugiati aiutano gli anziani. E poi ci fanno due chiacchiere

PARMA - Serve una mano per spazzare la neve, accatastare la legna o fare pulizie di giardinaggio? A

Pubblicato:17-12-2015 13:52
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:43

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PARMA – Serve una mano per spazzare la neve, accatastare la legna o fare pulizie di giardinaggio? A Berceto ci pensano i rifugiati inseriti nei percorsi Sprar gestiti dal Consorzio Fantasia. Siamo sull’Appennino parmense, in un paese di poco più di 2 mila abitanti: in Emilia-Romagna è il primo centro in montagna che porta avanti progetti legati al Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati. Il Laboratorio Aiuti nasce così, da un’idea dei profughi accolti che volevano ricambiare in qualche modo l’ospitalità.
“Abbiamo inventato il laboratorio Aiuti per aiutare gli italiani in difficoltà facendo conoscere anche i beneficiari dei nostri servizi- spiega Maria Molinari, referente del consorzio-. Cercando di far capire che sono persone come noi e che spesso hanno alle spalle storie tragiche. L’intenzione di questo laboratorio è far capire che gli immigrati che creano problemi sono pochissimi, mentre quasi tutti vogliono integrarsi ed essere una risorsa per il paese”.

I destinatari del servizio sono anziani, disabili, donne incinte o con bambini piccoli, persone che vivono isolate: al consorzio la responsabilità di accettare o declinare la richiesta d’aiuto, e un operatore è sempre presente al momento dell’incontro. “Non è una semplice fornitura di un servizio: noi vogliamo che le persone parlino tra loro. Cerchiamo di favorire l’instaurarsi di una relazione”.
Capita allora che, dopo avere sparso il sale per evitare la formazione di ghiaccio o dopo avere spalato la neve – i lavori più pesanti che gli anziani fanno fatica a fare – ci si fermi a casa di chi ha richiesto l’intervento per un caffè e un pasticcino: “Un giorno accompagnai un rifugiato eritreo a casa di una signora che chiedeva che le fossero tolte le erbacce dal vialetto. Ci siamo fermati un po’ di più, e la donna ha cominciato a raccontare la sua infanzia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il ragazzo è restato impressionato: anche lui era sopravvissuto a una guerra. Un argomento in comune che ha dato vita a molte chiacchiere. E per la prima volta ha dato al giovane la possibilità di conoscere l’Italia sotto un altro punto di vista, quello del dolore”.

anziani (700 x 525)Consorzio Fantasia lavora con i migranti dal 2011, per l’emergenza Nord Africa e per Mare Nostrum. I percorsi Sprar sono attivi dal 2014: a Berceto i posti sono 15, più qualcuno aggiuntivo nella vicino Varano. “Ci occupiamo di formazione, sensibilizzazione, corsi di lingua. E anche del laboratorio che, purtroppo, non ha avuto molto riscontro in questi primi tempi. La diffidenza delle persone anziane non è facile da superare, ma non ci perdiamo d’animo, e puntiamo a strutturare la proposta sempre meglio. Anche perché, a oggi, molte delle attività che coinvolgono i nostri rifugiati nascono spontaneamente, senza nemmeno bisogno di chiedere”. E sotto Natale gli impegni si moltiplicano: “Non lesiniamo le collaborazioni con le Pro Loco della zona, ben felici del nostro impegno”.


anzianiUno dei rifugiati usciti dallo Sprar di Berceto è stato anche uno dei primi due giovani (l’altra è una ragazza del paese) ad avere avuto la possibilità di svolgere il Servizio civile per il Comune: “Oggi si occupa di supporto scolastico: conosce perfettamente l’italiano, è una grande risorsa. E poi presta servizio al centro civico”, centro civico che, dal gennaio 2012, è stato spostato nella villa di un camorrista confiscata dalle autorità e che oggi accoglie anche una biblioteca, una piscina per attività terapeutiche e di recupero, nonché la sede degli uffici Sprar.

Ma se la buona volontà non manca, le difficoltà sono tante. “Lo Sprar non è tarato sulle realtà montane, ma su quelle cittadine. Nei percorsi ci sono attenzioni a cui noi, concretamente, non possiamo rispondere. Per fortuna ultimamente il sistema si sta ampliando: così, oltre a percorsi standard di formazione ce ne saranno altri per la cura dei boschi e le tecniche di allevamento”. Già, perché dai paesini i giovani scappano: e chi si prende cura, allora, dei boschi per prevenire alluvioni e valanghe? Chi mantiene e recupera i tradizionali rustici in sassi così gettonati dagli acquirenti stranieri? Nessuno. “Non c’è più nessuno in grado di svolgere questi lavori: ai ragazzi italiani non interessano. La cura del verde non interessa. E allora perché non aprire sbocchi lavorativi in queste direzioni? Se i rifugiati possono essere inseriti in questi ambiti, perché non farlo? Perché non mettere nelle loro mani il nostro patrimonio? I migranti possono essere una risorsa: il caso delle famiglie straniere che a Bore hanno permesso di continuare a tenere aperta la scuola lo dimostra. Di strada da fare ce n’è tanta, ma è fondamentale concentrarsi sui lati postivi di questo dramma delle migrazioni”.
(Dires – Redattore Sociale)

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