
TORINO – Rafa Nadal è uno che perde una partita e dice: “I don’t know if I going to reach that level again. But what I don’t have is any doubt that I’m going to die for it”. Pronto a morire sul campo per tornare quello di prima. Ma è anche uno che due giorni dopo vince e dice: “Ho vinto una partita da papà”. Dal Gladiatore a Barbapapà in tre giorni. Il vero Nadal è nascosto in questo limbo tra passato guerriero e futuro puccioso. Annuncia che andrà in Australia prima del solito quest’anno, per prepararsi meglio. Gli chiedono quanto prima. E risponde il padre-marito: “Non lo so, non posso prendere decisioni unilaterali. Devo chiedere a casa…”.
Nadal lascia le Atp Finals di Torino con il sapore buono di due set strappati a Ruud, e lo chiama “il premio”: “Ieri mi sono allenato proprio bene, e oggi sono stato premiato”. Il segreto delle vittorie raccolte come mollichine, è tutto qua.
Nadal, come ha scritto il New York Times, è come costretto, catturato, in un Comma 22 sportivo: vincere richiede un livello di dimestichezza con le partite, ma l’unico modo per sentirsi a proprio agio in partita è vincere. L’ha ammesso nella stessa conferenza stampa della dichiarazione da Uomo Tigre di cui sopra: “Devi essere più veloce con le gambe, più veloce con la mente. Devi vincere le partite per tornare a giocare per vincere”. Non se ne uscirebbe. Lui sa come si fa.
Nadal in fondo è uno abituato ad abbattere le pareti del labirinto a mazzate in top spin. D’altra parte “se ho vinto così tanto è perché sono riuscito a navigare il mare dell’inquietudine”, ha detto in una conferenza stampa che rischia di restare una pietra miliare di filosofia dell’agonismo.
La paternità è un timone, ne ha addolcito le asprezze da concentrazione quasi patologica. L’età ha aggiunto saggezza all’esperienza. I giovanotti della Present Gen cominciano ad annusarne le fragilità. A pungere se possono, e dove possono. Fritz lo ha demolito al servizio, Auger-Aliassime gareggiando sull’elasticità. Al termine di una stagione passata a fare infiltrazioni e fisioterapia, a giocare sul dolore fino a dichiarare quasi la resa finale già a Roma, a maggio. Per poi ritrovarsi a ricominciare, a 36 anni, da numero 2 del mondo, il 2023. Una carriera da vincente seriale, fatta di tanti anni della marmotta.
Per cui ora si prende i 200 punti della vittoria con Ruud così: “Non è che mi cambiano la carriera, ma fanno classifica anche per l’anno prossimo”. Ormai ragiona per “soddisfazioni personali” e del ranking non gli importa più: “Credo che sarà sempre più complicato vedere un numero 1 in fuga in classifica”. C’era una folla che premeva dietro i Big 3, e stanno arrivando. Lui è lì, sull’uscio di casa, con un bebé in braccio, e la ferocia intatta del cannibale “pronto a morire sul campo”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it