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Miozzo (Cts): “Far tornare ragazzi in aula, valutazioni sono state superficiali”

"La scuola è comunque un ambiente protetto, controllato, dove vigono regole precise"

Pubblicato:17-11-2020 09:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:15
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ROMA – “Leggo troppe valutazioni ed analisi superficiali sulla scuola in epoca di coronavirus. Per comprendere meglio di che cosa si parla e della complessità dell’argomento è bene fare un salto nel recente passato ripercorrendo le tappe che hanno portato la scuola alla decisione del DPCM del 3 novembre us, dove si danno indicazioni decisamente forti per la vita degli studenti nel nostro Paese come la chiusura di tutte le scuole a partire dal secondo anno delle medie inferiori”. Sono le parole in una nota di Agostino Miozzo, medico e coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts).

“La dichiarazione di stato di emergenza coronavirus risale al 31 gennaio, da quel momento il Paese si è messo in moto per tentare di rispondere al devastante impatto di un’emergenza verso la quale noi come tutti gli altri Stati dell’Ue e non solo non eravamo preparati. Si deve giungere ai primi di marzo per prendere decisioni difficili come quelle di dichiarare anche in Italia il lockdown di cui avevamo sentito per la prima volta parlare quando le autorità cinesi lo imposero a Wuhan”, spiega Miozzo.

“La scuola viene chiusa in Italia il 4 marzo. Le motivazioni che indussero quella difficile scelta furono legate al fatto che la comunità scientifica riteneva che il movimento attorno alla frequenza scolastica determinasse l’aumento di 0.3/0.4 dell’indice di trasmissione, il ben noto RT. Quella percentuale di aumento era dovuta al fatto che si muoveva una popolazione di 10 milioni di persone e che questa massa in movimento quotidiano comportava gravi rischi di trasmissione di una malattia di cui si conosceva ancora poco ma di cui si sapeva bene la modalità di trasmissione, attraverso il famoso ‘droplet'”, ricorda il coordinatore del Cts. “Nessuno all’epoca obiettò su quella scelta, le immagini dei camion dell’Esercito che trasportavano le bare di chi non poteva nemmeno avere una degna sepoltura, e i dati strazianti degli ospedali delle aree interessate imponevano il rigoroso rispetto di quelle difficili decisioni. Così anche il lockdown nazionale venne accolto con una buona dose di accettazione da parte di una opinione pubblica decisamente diligente e scrupolosa nell’osservare le dure regole della restrizione della nostra libertà. Già dalle prime settimane di aprile con i colleghi del CTS iniziammo a elaborare strategie di ritorno alla normalità e la scuola divenne uno dei nostri punti di maggiore attenzione. Ovviamente l’emergenza aveva facilmente messo in evidenza le criticità di un mondo che la politica del nostro Paese aveva dimenticato negli anni, riducendo, come per la sanità, finanziamenti e investimenti.Ci siamo quindi ritrovati ad affrontare una battaglia che imponeva le regole del distanziamento in un assetto scolastico che era per lo più basato su regole opposte, quelle del sovraffollamento, della mancanza di servizi, di personale dedicato”, spiega Miozzo.


Distanziamento di almeno un metro tra gli studenti seduti al loro banco (un metro in posizione statica dalle rime buccali!), mascherine di comunità o chirurgiche messe a disposizione dal Commissario all’emergenza, dispenser di igienizzanti distribuiti ovunque nelle scuole, insieme a tutto ciò che era corrispondente ai trasporti pubblici di questa importante massa di popolazione, furono per il CTS punti di attenzione e studio per i quali abbiamo sin da aprile fatto analisi e proposto soluzioni che riducessero o contenessero il rischio. Idee che hanno visto scelte coraggiose da parte del Ministero dell’Istruzione e della Ministra Azzolina, con la richiesta di investimenti importanti per il rifacimento degli arredi scolastici, la riorganizzazione delle classi, la creazione di percorsi compatibili al rispetto delle regole che noi stessi avevamo condiviso, il reclutamento di nuove risorse umane, l’attenzione al critico problema della disabilità nella scuola e tanto altro”, prosegue.

“Sui trasporti scolastici ci siamo soffermati suggerendo numerose indicazioni come lo scaglionamento degli ingressi per le classi superiori ad evitare i picchi di affluenza sui mezzi pubblici, la necessità di prevedere trasporto scolastico con regole di distanziamento ben identificate etc. Tutte queste indicazioni risalgono ad aprile; i verbali del CTS sono a dimostrazione di questo. Gli esami di Stato si sono svolti a giugno per 500 mila studenti e professori e personale ATA nel pieno rispetto di queste regole. Non un singolo problema è stato registrato e tutto si è svolto nel massimo dell’attenzione contribuendo a superare un momento importante della formazione dei nostri ragazzi pur essendo accompagnati, in ogni momento, dallo spettro del virus. Un test per il sistema superato brillantemente”, aggiunge.

LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE

“La riapertura delle scuole ha visto l’organizzazione di una valutazione dello stato di salute (rispetto al virus) degli insegnanti e del personale non docente attraverso la messa a disposizione di due milioni di test sierologici per verificare gli eventuali contatti con il COVID 19. Più di seicentomila persone hanno fatto il test che ha evidenziato numerosi casi di positività che hanno a loro volta seguito il tradizionale percorso diagnostico ed eventualmente terapeutico. Sin da allora è comunque emerso un altro grande buco nell’organizzazione del sistema scolastico: la totale assenza nel sistema del tutore sanitario all’interno dei plessi scolastici; il medico scolastico è ormai una memoria degli anziani, un valore aggiunto di un antico e civile sistema scolastico e sanitario che negli anni ha conosciuto l’inciviltà di un Paese che ha dimenticato che l’investimento in questi due settori della vita pubblica è cruciale per la crescita del Paese”, spiega Miozzo.

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“Le scuole sono comunque arrivate al 14 settembre con molti drammi organizzativi, i banchi che in molti plessi non erano arrivati, la cronica carenza dei docenti, del personale supplente, antiche e mai risolte questioni sindacali che storicamente vedono i primi mesi dell’inizio dell’anno scolastico in tribolazioni organizzative. Tribolazioni che quest’anno si sono sommate dal disastro COVID. Tanto per non farci mancare nulla, l’inizio dell’anno è stato turbato dalle elezioni regionali cui si sommava un referendum nazionale; momenti di utilizzo delle strutture scolastiche quali sedi di seggio elettorale, con tutto il corredo di lavoro per sanificare prima e dopo l’evento”, sottolinea il coordinatore del Cts.

“Che il ritorno a scuola portasse con sé il rischio di un rialzo dell’epidemia era ben prevedibile, non fosse altro per il fatto che muovere dieci milioni di persone nelle stesse ore della giornata crea i picchi di traffico automobilistico ma soprattutto nei trasporti pubblici che, come ho ricordato poc’anzi, erano a tutti ben noti. La fine di settembre e le prime settimane di ottobre hanno visto la curva dei contagi salire rapidamente, e con essa la preoccupazione del sistema che ha visto concretizzarsi quello che qualche improvvisato profeta aveva prefigurato come scenario impossibile visto che il virus era morto. Gli ospedali presi d’assalto con le inevitabili coreografie di pazienti in coda al pronto soccorso, magari per ore nelle ambulanze, le terapie intensive debordanti, i posti di malattie infettive stracarichi e il COVID prendere il sopravvento sul resto della sanità pubblica. Queste condizioni, di nuovo ampiamente previste, hanno imposto misure restrittive tendenti a ridurre la curva, e poiché a differenza della prima ondata la sensibilità verso il mondo del lavoro è oggi decisamente differente, molti politici hanno scelto di sacrificare la scuola come segnale di efficiente reazione in risposta all’emergenza. Banalizzo e sintetizzo questioni drammaticamente serie, ma ho la percezione che la tradizionale cultura di disprezzo del bene primario che è la scuola e la formazione dei nostri giovani si traduca bene anche in queste reazioni di molti improvvisati politici del nostro disgraziato Paese. Basta guardare oltralpe per vedere come Paesi come la Francia, la Germania, l’Inghilterra, che stanno affrontando il nostro stesso dramma, hanno reagito. Il lockdown è patrimonio comune (con qualche differenza nella modalità di restrizioni) ma c’è un punto comune: le scuole sono aperte, tutte le scuole, pur in costanza di lockdown anche decisamente severi. Questo si legge nel sito del Governo del Regno Unito, Paese di cui tutto si può dire tranne che non abbia una sacra considerazione della formazione come bene primario dei cittadini:

‘Le scuole continuano a rimanere aperte a tutti i bambini e ai giovani come dall’inizio del semestre autunnale per la durata delle restrizioni nazionali. Essere a scuola è vitale per l’istruzione dei bambini e per il loro benessere. Il tempo trascorso fuori dalla scuola è dannoso per lo sviluppo cognitivo e accademico dei bambini, in particolare per i bambini svantaggiati. Questo impatto può influenzare sia gli attuali livelli di istruzione sia la futura capacità di apprendimento dei bambini. Il nostro obiettivo continua a essere che tutti gli alunni, in gruppi durante tutto l’anno, rimangano a scuola a tempo pieno. Il rischio per i bambini stessi di ammalarsi gravemente di coronavirus (COVID-19) è molto basso e il non frequentare la scuola ha impatti negativi sulla salute. Per la stragrande maggioranza dei bambini, i vantaggi di tornare in classe superano di gran lunga il basso rischio di coronavirus (COVID-19) e le scuole possono intervenire per ridurre ulteriormente i rischi’.

(https://www.gov.uk/guidance/education-and-childcare-settings-new-national-restrictions-from-5-november-2020#schools )”.

“I dati oggi disponibili- prosegue Miozzo- ci dicono che è difficile discriminare che l’infezione di un ragazzo sia avvenuta a scuola piuttosto che nei momenti precedenti o successivi la permanenza in classe o negli spazi intra scolastici. Sono disponibili statistiche che ci dicono delle infezioni nelle varie fasce di età ma non c’è certezza sul luogo di infezione quindi. La differenza sostanziale sta nel buon senso di comprendere che la scuola è comunque un ambiente protetto, controllato, dove vigono regole precise, dove insegnanti e personale obbligano i ragazzi al rispetto delle regole comportamentali e dove oltre l’obbligo c’è il momento educativo, pedagogico; dove il tuo insegnate ti rende consapevole del momento, partecipa ai suoi ragazzi le proprie percezioni, condivide emozioni e indicazioni utili a comprendere come loro possono essere un pericolo per i loro cari, genitori o nonni che siano. Ma dove i nostri ragazzi possono apprendere queste informazioni, queste nozioni di comportamento se non a scuola? Su Instagram, su Facebook? Noi abbiamo adottato l’escamotage della DAD, la mitica “didattica a distanza” che è uno strumento di eccezionale utilità da utilizzare in situazioni di vera emergenza e soprattutto per periodi limitati. La DAD deve poi considerare la disponibilità di strumenti didattici (tablet) disponibili per tutti gli studenti (mi si dice che nei mercati di alcune città i tablet forniti dalle scuole sono disponibili a 80 euro). Per non parlare della certezza che la rete internet sia disponibile ovunque nel Paese, pura illusione ahimè!”, aggiunge. “La chiusura delle scuole, in assenza di provvedimenti restrittivi la mobilità delle persone comporta poi la possibilità reale che i ragazzi nel tempo libero dalla scuola si incontrino nei locali pubblici, nei centri commerciali, nelle case private dove si ritrovano a gruppi senza alcun controllo o mediazione. Magari aprendo il proprio tablet e dimostrando la presenza in onore di una improbabile DAD che non può riconoscere il luogo da dove ti colleghi. Qualche giorno fa alle nove di mattina ho visto dei ragazzi in un bar di Roma, a Ponte Milvio, noto luogo della movida romana. Quattro giovani liceali al tavolo del bar con il loro pc aperto, connesso con una ventina di loro compagni di classe che seguivano, davanti a un cappuccino e cornetto, una lezione che credo fosse di matematica. Un modo originale per seguire una lezione di matematica con l’attenzione necessaria a comprendere il significato di seno, coseno, tangente! Il paradosso in alcune regioni è che le scuole sono state chiuse grazie a provvedimenti improvvisati e poco motivati ed i genitori hanno mandato i loro figli nelle ludoteche (private) che non sono state chiuse! La scuola non e la ludoteca sì! C’è una razionalità in questo?”, si domanda Miozzo.

“Altrettanto descritto è, in alcune aree del Paese, il tentativo di reclutamento da parte della criminalità organizzata di bambini sotto i 14 anni che per settimane non frequentano la scuola e che facilmente diventano strumento di spaccio di ogni tipo di bene caro alla delinquenza. Un punto di valutazione si impone sulla mitica movida, mediaticamente responsabile del disastroso aumento della pandemia, anche perché improvvisamente pare che tutto prenda origine da quei raduni di giovani davanti a uno spritz! La movida è certamente un luogo ad alto rischio, su di essa si sono concentrate le attenzioni mediatiche di tutti gli organi di stampa e giustamente questi assembramenti sono stati vietati. Ma quanti sono i giovani della movida? Un bravo psicoterapeuta mi ha aiutato a fare quattro calcoli. Un migliaio a Ponte Milvio o altrettanti a Piazza Campo de’ Fiori a Roma? Quattro, cinquemila a Trastevere? Cinquemila lungo i navigli a Milano? Parliamo di migliaia di unità; ma quanti sono i giovani che da settimane o mesi non escono più di casa, che sono rifugiati nel buio della loro stanza davanti ad uno schermo di pc per ore ed ore, vittime di quella ormai famosa “sindrome della capanna” che genera paure, ansia, insonnia e tante altre patologie della mente. Ma i disturbi della psiche non sono così evidenti, almeno nell’immediato, non fanno clamore, non colpiscono le attenzioni dei media. Quei disturbi crescono dentro di noi, in questo caso nella mente dei nostri poveri ragazzi, e fra qualche tempo ad emergenza COVID superata saranno evidenti in tutto il disastro che hanno provocato. Rispetto ai numeri della movida questi “ragazzi della capanna” sono decisamente più numerosi anche se, paradossalmente, meno pericolosi per la possibile trasmissione del contagio proprio perché auto confinati nella loro abitazione. Il DPCM del 3 novembre ha imposto una dura restrizione nella frequenza scolastica dei nostri ragazzi che dal secondo anno delle scuole medie inferiori non potranno seguire le lezioni in presenza sino alla riduzione dell’attuale indice di trasmissione a livelli compatibili. Il CTS hanel suo complesso confermato le indicazioni del Governo e del Ministro della Salute contenute nell’intero documento, ma al settore della scuola ha dedicato una raccomandazione che è quella di prevedere un ritorno, il prima possibile, alla scuola in presenza per tutti i ragazzi, senza distinzione. Abbiamo l’obbligo come comunità scientifica di valutare il rischio potenziale del ritorno di milioni di studenti a scuola in presenza, e dobbiamo fare l’impossibile affinché questo sia un livello di rischio accettabile, mettendo in campo tutte le risorse possibili per ridurre al minimo la vulnerabilità dell’intera popolazione scolastica, delle loro famiglie, e dell’intero Paese”, spiega.

“Personalmente sono assolutamente convinto che quella della scuola sia la nuova grande emergenza del nostro paese. I nostri ragazzi hanno già perso cinque mesi di scuola; dal 4 marzo sono costretti a curare la loro crescita culturale e didattica in piena solitudine, aiutati solo dalle loro famiglie e da migliaia di splendidi insegnati che hanno ben compreso e soffrono con loro il dramma che questo devastante virus sta avendo sul futuro della scuola italiana e quindi dei futuri cittadini del nostro Paese”, conclude.

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