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Aidu: “Relazioni e incontro sono il futuro dell’università”

Oggi a Roma Tre il convegno 'Relazionalità e orientamento'

Pubblicato:17-11-2017 18:11
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:54

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ROMA – Relazione, dialogo, ascolto, speranza, pace, incontro, interculturalità. Sono queste le parole chiave di ‘Relazionalità e orientamento’, il convegno nazionale interassociativo organizzato dall’Associazione Italiana Docenti Universitari (Aidu), che si è svolto a Roma nell’aula Volpi della facoltà di Scienze della Formazione dell’università degli studi Roma Tre.

Una giornata di lavori voluta da Aidu assieme a Fuci, Unesu, Aimc, Uciim per discutere di università, ma soprattutto di università del futuro, capace di rimettere al centro della sua missione la relazione, per favorire l’orientamento dei suoi studenti nella scelta di un futuro in linea con le proprie aspettative. Ad introdurre e presiedere i lavori il past president dell’Aidu Gian Cesare Romagnoli, che ha posto l’accento sulla necessità di fare in modo che le università non diventino “la tomba della speranza”.


Una parola ripresa anche dal direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Educazione cattolica, la Scuola e l’Università Ernesto Diaco: “Papa Francesco, quando circa un mese fa ha fatto visita alla comunità e all’ateneo di Bologna, chiedeva all’università di farsi carico di tre diritti: diritto alla cultura, alla speranza e alla pace. Un’università che deve individuare le luci nel buio, per diffondere un sapere umano e umanizzante, direi anche un’esperienza di studio. Studio che serve a porsi delle domande, a cercare un senso nelle cose, perché è attraverso queste strade che tutti noi possiamo scoprire il nostro posto nel mondo”.

Relazionalità che, secondo monsignor Mariano Crociata, presidente della Commissione Episcopale per l’Educazione cattolica, la Scuola e l’Università, parte dalla dimensione del rapporto di Gesù con Dio e delle relazioni che il Gesù storico ha costruito a partire dalla relazione “sorgiva e generativa con il padre”.

Donati: “L’indifferenza porta alla mancanza di relazioni”

Una capacità che, secondo il professore dell’università di Bologna Pierpaolo Donati, si può sviluppare solo possedendo “un’etica della prima persona”, che risiede nel rapporto con se stessi, e “un’etica della seconda persona, della relazione in quanto alterità, cioè di chi sono io per gli altri, per lo Stato italiano, per l’università, per le istituzioni, per lo Stato italiano in generale”. Secondo il professor Donati “non abbiamo cultura delle relazioni” perché “nel multiculturalismo siamo tutti indifferenti, nel senso che esistono le differenze ma non contano”. Indifferenza che porta alla “mancanza di relazioni”. Per questo “noi non parliamo di multiculturalismo- sottolinea Donati- ma di interculturalità, trovare l’inter fra le culture e puntare su ciò che esiste fra le relazioni”.

Un approccio nuovo che entra in un Paese che, come rileva il presidente di AlmaLaurea prof. Ivano Dionigi, vive “il duplice paradosso di avere meno laureati tra tutti i Paesi Ocse, quelli che abbiamo non trovano lavoro e quelli che lavorano devono rassegnarsi a fare altro”


Cipriani: “E’ necessaria una maggiore relazionalità tra le persone”

“Quello che non funziona all’interno dell’università è soprattutto il rapporto tra le persone- spiega a diregiovani.it il presidente Aidu e ordinario di Sociologia a Roma Tre Roberto Cipriani-. Ci si frequenta poco, anzi lo studente all’università va pochissimo, vanno poco anche i docenti. E’ necessaria una maggiore relazionalità tra le persone, tra gli studenti, tra i docenti, e tra gli studenti e i docenti, finalizzata anche alla ricerca dell’occupazione. Non basta conoscere le proprie materie, occorre anche specializzarsi nei rapporti umani, saperli coltivare, saper far leva su di essi, per poter trovare soluzioni ai problemi personali. L’idea è far sì che si ponga più attenzione, sia da parte dei docenti che da parte degli studenti, alla dimensione dell’incontro, del dialogo del confronto della collaborazione, dell’imparare in forma cooperativa”.

Gesualdi: “L’obiettivo della scuola di Barbiana  era rendere i ragazzi cittadini sovrani”

Una spinta che si ritrova nell’esperienza della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani. E quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, il Premio Aidu ‘Humboldt-Newman’ 2017, intitolato a due grandi innovatori del sistema universitario, è stato assegnato alla fondazione don Lorenzo Milani e alla Scuola di Barbiana. A ritirare il premio Sandra Gesualdi, figlia di un allievo di don Milani che ha curato anche la pubblicazione di una serie di immagini di repertorio della Scuola di Barbiana, di proprietà della fondazione: “La scuola di Barbiana era una comunità di competenze, i ragazzi erano posti al centro, c’erano le aule diffuse– spiega nel corso del convegno Gesualdi-. L’obiettivo principale era rendere i ragazzi cittadini sovrani. La relazione a Barbiana era fondamentale, come si capisce dalla frase di don Milani ‘Non vivo che per vederli aprirsi sbocciare e crescere’. Nella prospettiva che ognuno dei ragazzi avesse qualcosa di geniale e che il buon maestro è quello che riesce a tirarlo fuori”. E i ragazzi di Barbiana di oggi sono, secondo Affinati, i giovani immigrati che arrivano nel nostro Paese, per i quali “l’insegnamento di don Milani acquista un significato ancora più forte”.

Affinati: “La qualità scolastica si misura dall’autenticità del rapporto tra docente e studente”

Insegnamenti che Affinati applica, nel solco di Barbiana, nella scuola Penny Wirton, in cui, insieme alla moglie, insegna italiano agli stranieri. “Don Milani era un grande italiano- sottolinea Affinati-. Per scrivere ‘L’uomo del futuro’ sono andato nei luoghi in cui ha svolto le sue attività, per vedere cosa resta di lui”. E sulla sua esperienza di insegnante racconta: “Nella nostra scuola non ci sono classi, voti e burocrazie. Il rapporto è uno a uno. Sono convinto che la qualità scolastica si misuri dall’autenticità del rapporto tra docente e studente. Nella qualità della relazione umana che bisogna curare in classe. Nella capacità di accettazione dell’acquisizione di libertà da parte dello studente che ogni bravo insegnante deve avere”.

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