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VIDEO | Triage telefonico, i pediatri: “Parlarne di più per usarlo meglio”

L'intervista a Leonardo Venturelli, pediatra della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Pubblicato:17-09-2020 10:06
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:54

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ROMA – “È molto importante parlare di consultazione telefonica tra pediatri, perché significa usare al meglio uno strumento che è sempre stato un po’ disdegnato, in quanto ritenuto insufficiente o foriero di problemi medico-legali”. Parte da qui Leonardo Venturelli, pediatra della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), illustrando i punti principali delle riflessioni che porterà domani all’evento in live streaming ‘Napulè è… pediatria preventiva e sociale’, sulla piattaforma digitale – Health Polis e in programma fino a domenica 20 settembre.
L’importanza del triage telefonico sta nel fatto che “ci può aiutare a capire, di fronte ai sintomi comunicati dai genitori per telefono, se quel bambino ha necessità di essere visitato urgentemente, avviato in urgenza al Pronto Soccorso, o ancora- continua- se deve essere visitato in giornata o se i consigli telefonici risultino sufficienti rispetto alle sintomatologie presentate dal bambino”.

Il Covid, approfondisce l’esperto, in questo senso è stato come “un fulmine a ciel sereno. Il triage diventa una prassi comune, decretata da una legge dello Stato, e da una circolare del ministro Speranza datata marzo 2020”. Il problema, però, è che “tuttora rimane ancora non codificata dagli organi legali”. Ed ecco che così emergono fin da subito le prime criticità rimaste irrisolte. “Due i vincoli che devono essere chiari e che permangono nel sistema italiano” nell’attuazione delle consultazioni via telefono: “Non si può fare diagnosi telefonica e non si può prescrivere terapia medica, se non farmaci da banco- spiega Venturelli- Al telefono, infatti, è possibile consigliare solo farmaci proscritti”. Anche gli Ordini dei medici, su questo, “hanno voluto ricordare all’intera categoria: state attenti al consulto telefonico, non fate diagnosi, non fate terapia medica in senso stretto attraverso il telefono, perché ci sono rischi legali in cui è possibile incorrere”.


Tra le altre difficoltà, poi, dal lockdown in cui “gli studi pediatrici si sono svuotati e abbiamo dovuto usare molto di più il triage telefonico per comunicare e gestire le situazioni familiari”, subentra ora una nuova fase in cui, a detta dell’esperto, occorrerà tornare a parlare di triage: “la riapertura delle scuole”. Su questo, approfondisce il pediatra, “la grande vittoria dei sindacati pediatrici, per ora, è l’essere riusciti a derubricare in questo senso la certificazione di riammissione a scuola ad attestazione”. Perciò, “se io faccio un’attestazione, non ho bisogno di visitare in presenza il bambino, e non devo fare diagnosi. Dico solo che ha o non ha il Covid, perché gli viene fatto fare il tampone al dipartimento di prevenzione della Asl e almeno- ribadisce- in quanto medici ci tuteliamo dal punto di vista medico legale, che è già un gran passo avanti ma non cambia le regole del gioco”.
A detta di Venturelli, difatti, “il sistema si ribloccherà presto se la pretesa è che ogni bambino dall’asilo in su con un po’ di tosse, raffreddore, rinorrea, o febbre a 37°, deve stare a casa e fare subito il tampone”. Chiaro è che “è importantissimo fare i tamponi, ma vanno richiesti secondo visita e, soprattutto- puntualizza- secondo scienza e coscienza, come è sempre stato fatto dopo i 3-5 giorni di malattia di un bambino. Una latenza di questo tipo, difatti, permetterebbe a più della metà dei più piccoli di tornare a scuola, senza problemi, se i sintomi non ci sono più. Con il persistere, invece, si procederebbe poi a fare il tampone”. Altrimenti, il rischio più grande è “un ulteriore blocco dell’intero sistema sociale alle spalle della scuola e della filiera delle aziende sanitarie locali”. E aggiunge: “Per praticità d’ uso, l’appello che continuiamo a rivolgere è quello di cercare di approvare quanto prima i test rapidi – meglio ancora se salivari – che non sono ancora stati validati dal sistema”.
Tornando al triage e alla sua importanza, infine, il pediatra sottolinea che c’è “una metodologia precisa a cui bisogna formarsi per condurre correttamente la consultazione telefonica”. Un buon mix è “tra la sensibilità nel fare le domande al genitore, la relazione che ne consegue e la coerente situazione che viene fuori dal consulto. Se è necessario o meno visitare il bambino, portarlo in un centro di urgenza ed emergenza, oppure- continua ancora Venturelli- attivare i protocolli per il dipartimento di prevenzione e la somministrazione del tampone faringeo”. Anche soltanto per esperienza personale, infatti, il pediatra bergamasco ricorda che nel pieno dell’emergenza il triage non ha significato soltanto “interventi informativi, quanto piuttosto- conclude- a seguito di mamme ricoverate o padri con sintomi gravi, se non addirittura decessi, il consulto telefonico ha significato contatto umano ed empatico”.

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