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Migranti, viaggio nel ghetto ‘ex-penicillina’: l’ultimo rifugio di Roma

Operatori 'A Buon Diritto Onlus'': dimostra fallimento politica sgomberi

Pubblicato:17-09-2018 07:28
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:33

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ROMA – Dopo lo sgombero di via Raffaele Costi, a Tor Cervara, uno degli stabili in cima alla lista degli interventi è quello in via Tiburtina 1040, dove si trova l’ex fabbrica di penicillina. Qui “dimorano circa 500 persone. Ci sono italiani e cittadini comunitari, e negli ultimi anni è aumentata la presenza di cittadini extracomunitari a causa di vari problemi. Primo, il fallimento del percorso di accoglienza, per via di una cattiva gestione da parte delle strutture incaricate, che non hanno saputo rendere la persona autonoma. Secondo, una serie di sgomberi da parte dalla pubblica amministrazione – l’ultimo, quello di Via Vannina, a marzo 2018 – che non ha fornito a queste persone una sistemazione alternativa”. Francesco Portoghese, insieme a Marina De Stradis, dà sostegno legale ai dimenticati di questa città attraverso l’associazione ‘A Buon Diritto Onlus’. L’agenzia Dire lo ha incontrato all’esterno dello scheletro industriale dell’ex fabbrica, sulla via Tiburtina, nella periferia romana. Eretta negli anni Cinquanta, alla sua inaugurazione vide persino l’entusiasta partecipazione del padre della penicillina, Alexander Fleming. Una volta fallito, e cambiata gestione più volte, questo polo industriale da oltre dieci anni è “l’estremo posto in cui una persona a Roma viene a rifugiarsi”. Il cattivo odore circonda la struttura, di cui sono rimasti solo i muri esterni. All’interno, tra i cumuli di spazzatura, i residenti si arrangiano come possono, “ma vivono tra i rifiuti, i resti chimici, e forse c’è anche amianto. Sostanze pericolose anche per gli abitanti del quartiere. Qui- prosegue Portoghese- oltre ai senzatetto risiedono anche beneficiari di protezione internazionale, titolari di permessi di soggiorno di vario tipo (tra cui anche quello per protezione umanitaria). Ci tengo a precisare che l’irregolarità presuppone il diritto ad avere un titolo di soggiorno che tuttavia non viene rinnovato dalle amministrazioni a causa della richiesta – a nostro avviso illegittima – del requisito della residenza, molto difficile da ottenere, soprattutto se si parla di senza fissa dimora”.

E senza permesso, viene meno ad esempio l’assistenza medica: “Sappiamo di donne incinte o con problemi ginecologici che non hanno ricevuto assistenza, proprio per via dell’impossibilità di regolare la propria posizione. Hanno sopperito le associazioni”, dice Marina De Stradis. Quanto alle donne vittime di tratta “sono difficili da individuare: rifiutano il nostro aiuto, la maggior parte è traumatizzata”, anche a causa delle esperienze subite prima di arrivare in Italia. E le strutture per accoglierle “non hanno posti disponibili”. “Ciò che abbiamo riscontrato per certo- prosegue l’operatrice- è che la permanenza degli abitanti all’interno dello stabile ha degli effetti negativi sul loro stato psicofisico: indebolimento, disperazione e in molti casi anche di depressione. Inoltre, di settimana in settimana notiamo che gli abitanti appaiono sempre più vulnerabili, meno speranzosi e quindi comprensibilmente meno volenterosi a proseguire le pratiche per la regolarizzazione”.

Il ghetto sulla via Tiburtina “dimostra il fallimento della politica degli sgomberi di occupazioni, senza aver preventivamente fornito a chi ha diritto sistemazioni alternative” prosegue Portoghese, ricordando la direttiva dello scorso anno emanata dal ministro dell’Interno Minniti, che legava agli sgomberi l’individuazione di sistemazioni”. E in vista dell’imminente sgombero pianificato a inizio settembre dal nuovo titolare del Viminale, il IV municipio- confermano gli operatori- ha avviato un censimento della popolazione interna alla struttura. “Noi abbiamo avuto vari momenti di confronto col Municipio, che si è dimostrato disponibile. Tuttavia- osserva Francesco Portoghese- le risorse umane e tecniche a disposizione non sono sufficienti a fornire alla popolazione sgomberata una sistemazione alternativa. Cinquecento persone saranno messe per strada e questo aggraverà la situazione di un quartiere che già versa in condizioni molto difficili, aumentando le tensioni sociali“.


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