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Monito a psicologi, Bianchi: “Non alimentate idea di patologia”

Federico Bianchi di Castelbianco al convegno organizzato a Bologna dall'Ordine degli psicologi

Pubblicato:17-09-2016 16:50
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:04

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bianchi1BOLOGNA – Se un bambino non sta attento a scuola, se si agita, se mostra rabbia, genitori e maestre non pensino subito a un disturbo dell’attenzione o dell’apprendimento, a una patologia, magari da curare con gli psicofamarci. “La scuola, oggi, è troppo sanitarizzata, i genitori preoccupati si consolano delegando al neuropsichiatra, allo psicologo, agli insegnanti”. E una volta che hanno in mano una diagnosi, pensano che il bambino abbia un problema e si fermano lì, “perché si tende a tener conto della prestazione di quel momento, non si guarda all’evoluzione, si crede erroneamente che una sintomatologia sia già una diagnosi”. Ma “una diagnosi sbagliata può provocare disastri”.

E “i bambini crescono pensando di essere malati”. E’ cominciato così, al convegno organizzato ieri a Bologna dall’Ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna “Zero-tre anni, l’importanza di un buon inizio”, l’intervento di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma. Davanti a una platea di oltre 100 tra psicologi e insegnanti, Bianchi ha portato l’esperienza del suo team, circa 100 persone, che ogni anno vede circa 5.000 minori. E ha esortato i professionisti ad approfondire, a mettersi in discussione “a non considerare gli atteggiamenti dei bambini come una patologia, non rifugiarsi dietro ai protocolli a non facilitare la medicalizzazione. Noi dobbiamo essere più cauti degli altri”. Non è un caso, ha aggiunto lo psicoterapeuta, se le diagnosi di autismo sono cresciute enormemente negli ultimi anni, passando da una su 2.000 bambini a due ogni 100.

Nell’esaminare i piccoli, ha sottolineato, capita di non pensare, per esempio, “che oggi si porta un bambino al nido a sette mesi, mentre nel passato stava con la mamma anche fino ai sei anni”, di non tenere in considerazione che “oggi c’è chi allatta il figlio oltre i 18 mesi, lo tiene nel lettone oltre i quattro anni”. Come pure che “alcune mamme vivono la gravidanza come un cambiamento del proprio corpo e, dopo, come un problema perché devono tornare a lavorare”. Insomma, col fatto che gli adulti vivono pensando alle prestazioni, trasmettono ai figli questa ansia e “talvolta non si pensa al problema del distacco, che poi ha delle conseguenze nel comportamento del bambino e che, a sua volta, viene derubricato come un problema di apprendimento o di attenzione”. L’invito dello psicoterapeuta alle mamme è di non avere solo un atteggiamento che accudisce, ma di ricercare l’empatia con il figlio. Di non dare il telefonino al figlio a sei anni e pretendere che a scuola lo tenga sul banco, acceso, dicendo alla maestra che chiede di spegnerlo che si impedisce al genitore di comunicare col figlio. Perché non è solo quello, il modo di comunicare, servono gli abbracci.


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