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Bacheche social invase da foto di bambini: cos’è lo sharenting e i rischi

Gianluigi Bonanomi, autore del libro 'Sharenting' edito da Mondadori, spiega questo fenomeno

Pubblicato:17-06-2021 16:17
Ultimo aggiornamento:18-06-2021 12:55

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ROMA – Se vi è mai capitato di avere le bacheche social intasate di foto di neonati ritratti in tutte le salse e senza alcuna cautela nei confronti dell’erede immortalato vuol dire che anche voi avete avuto a che fare con un fenomeno dilagante di cui ancora si parla poco. Si chiama sharenting, il termine è un neologismo inglese che mette insieme due parole ‘share’ e ‘parenting’, e descrive quella tendenza che hanno molti genitori nel sovraesporre i propri figli, minorenni, senza il loro consenso sui social con foto, video e informazioni. Un fenomeno che con la pandemia ha subito una forte accelerazione.

“Nell’era dei social- ha spiegato Gianluigi Bonanomi, autore del libro ‘Sharenting’ edito da Mondadori- siamo tutti vittime della ‘vetrinizzazione sociale’ e quando ti trovi in vetrina metti in condivisione tutto quello che ti succede”, ma durante il lockdown “non avevamo nessun tramonto o piatto gourmet da immortalare e sempre più spesso i figli sono diventati i soggetti delle nostre foto”.

C’è anche un’altra spiegazione di carattere più sociologico “nella società liquida in cui viviamo – ha sottolineato l’autore- è più difficile definire la nostra identità e spesso ci riduciamo ad avere come unico riferimento noi stessi e il feedback diretto degli altri”. In quest’ottica capita di assistere “all’utilizzo delle foto dei figli come leva per ottenere quattro like in più”.


Ci sono ovviamente anche i casi di coloro che vogliono, per circostanze particolari, “convidivere la straordinaria esperienza della genitorialità– ha continuato Bonanomi- anche con amici e parenti lontani”, l’importante è avere coscienza dello strumento che utilizziamo perché altrimenti si rischiano spiacevoli conseguenze.

CONDIVIDERE LE FOTO DEI MINORI: I RISCHI DELLO SHARENTING

“Solo per fare alcuni esempi ricordo la foto di un bambino nudo con il sedere scoperto e l’hashtag #chapet, il problema è che se si andava a vedere quali altri foto erano raggruppate sotto quell’hashtag “si finiva in un flusso di immagini di natiche molto più erotiche e sessualizzate”. Oppure “la foto di un bambino tutto sporco delle sue stesse feci fuoriuscite da un pannolino immortalato come un momento simpatico da parte del genitore senza pensare che, quando quel bambino crescerà, quella stessa foto potrebbe essere usata da un cyberbullo contro di lui“. Perché ciò che mettiamo in rete “è perso per sempre”.

Ciò che per noi è un’immagine innocua per altri può diventare oggetto di speculazione e di scambio, “mi è capitato di vedere del materiale sequestrato dalla Guardia di Finanza- ha ricordato- i pedofili si scambiano foto e filmati come fossero figurine. A me manca quella del bagnetto a te quella della spiaggia col costumino e ce le scambiamo. La cosa peggiore che ho visto sono i fotomontaggi, in cui prendono la faccia di tuo figlio e la mettono su un’immagine pornografica“. La soluzione non è astenersi dal condividere sui social qualunque immagine che abbia come soggetto un minore, condividere si può, ma con qualche accorgimento.

CONDIVIDERE LE FOTO DEI PROPRI FIGLI IN SICUREZZA: ECCO COME

Se ci rendiamo conto di “aver scattato una foto- precisa Bonanomi- in cui il volto del bambino è perfettamente riconoscibile, mettiamo uno sticker, una pecetta“. Ci sono anche degli strumenti che permettono di “controllare veramente- ha concluso- la condivisione come il Family Album che consente di decidere chi vedrà quelle foto e cosa ne potrà fare se potrà scaricarle, se le potrà solo visualizzare o magari le foto saranno caricate solo per un determinato lasso di tempo” per poi scomparire. “Insomma ci vuole tanto buon senso, bisogna essere genitori fino in fondo, sono quelli che devono essere degli angeli custodi e proteggerli e possibilmente non essere la fonte del problema”.

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