NEWS:

FOTO | VIDEO | La raccolta fondi del centro donna L.i.s.a. per saldare il debito con l’Ater

In ventuno anni sono state aiutate cinquemila donne: è una storia di occupazione e autofinanziamento

Pubblicato:17-05-2019 13:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:28

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – A Roma tra il capolinea della metro B1 Jonio e i caseggiati popolari di via Rosina Anselmi ci sono tre chilometri. L’80 supera via di Valle Melaina, l’ateneo salesiano, e, passato il viadotto Segni, fa fermata su un marciapiede anonimo, accanto a un pezzo abbandonato di città. Il centro Donna L.I.S.A. spunta sulle finestre del civico 41 della strada intitolata a Rosina Anselmi, attrice siciliana dal fisico possente, classe 1880, spalla del celebre Angelo Musco che le garantì una carriera in ascesa nel teatro italiano tra gli anni Dieci e Venti del Novecento. Un’altra Italia, quella dei cartelli di questo spicchio di Roma Nord, con via Tina di Lorenzo che scorre parallela a via Giuseppe Imer e via Emilio Zago, attori teatrali di un mondo scomparso, oggi anonimi, come le strade dormitorio tutte identiche di Vigne Nuove.

L.I.S.A., come ‘Libertà, Internazionalismo, Soggettività e Autodeterminazione’, nasce con l’occupazione del ’97, quando una trentina di donne dell’associazione ‘Donne in Genere’ decide di fare il salto e dare un’identità al civico 41. Dall’attacco alla legge 194, che le ha fatte incontrare nel 1993, al tema della violenza maschile contro le donne, che le tiene insieme da oltre 21 anni. “Nel novembre del ’97, durante una cena in pizzeria, abbiamo deciso che avremmo dovuto avere un posto dove incontrarci, elaborare, discutere e accogliere altre donne“, racconta alla Dire Teresa Gennari, operatrice volontaria tra le veterane del Centro antiviolenza Donna L.I.SA., che fa parte della rete di D.i.Re ed è inserito nel numero antiviolenza nazionale 1522.

“Avevamo visto questo spazio vuoto e inutilizzato e, una mattina di quel novembre, siamo venute su per le scale. La porta era aperta, siamo entrate e non siamo più uscite”. Le pareti vuote e fredde, qualche graffito qua e là, uno spazio condominiale ceduto “amichevolmente in gestione” dall’amministrazione comunale di allora “a uno scultore che abitava a Parigi”, che con gli anni era diventato “una risorsa per i poveretti della zona che venivano a ripararsi qui, di notte e di giorno”. “Abbiamo pensato di dargli un senso”, aggiunge Teresa, che racconta la solidarietà arrivata da tutta Roma nei giorni dell’occupazione “senza luce e senza acqua”, dei lavori di ristrutturazione “a nostre spese” per un centro che ancora oggi vive di autofinanziamento, che poi è autotassazione. Ma quell’appartamento pieno di libri, foto, locandine, e attività gratuite, dalla ginnastica posturale alle cene multietniche, dai corsi di italiano per donne migranti a quelli di alfabetizzazione informatica, all’accoglienza delle donne vittime di violenza – 5mila in oltre vent’anni – è dell’Ater (l’ente che gestisce le case popolari a Roma, ndr), come il resto del caseggiato.


 

“Subito dopo l’occupazione ci rendiamo conto che dobbiamo regolarizzare la nostra situazione- spiega alla Dire Alessandra Filabozzi, vicepresidente di Donne in Genere e operatrice volontaria del centro- Dal 2001 siamo noi stesse a chiedere all’Ater un contratto di locazione che viene sottoscritto alla fine dell’anno“. L’equivalente di 200 euro, versato regolarmente, anche se si tratta di un canone commerciale “che via via aumenta fino ad arrivare a sfiorare le 500 euro al mese. Ma noi- sottolinea Alessandra- siamo tutte volontarie, paghiamo l’affitto e le utenze grazie alle nostre quote personali. Nel 2005 ci siamo accorte che non riuscivamo più a soddisfare questa cifra e abbiamo cominciato un’autoriduzione, arrivando alla cifra di 200 euro”. Nel 2011 Ater presenta il conto, quote non versate e interessi. E inizia la trattativa. “Abbiamo presentato una perizia per quantificare le migliorie apportate al locale e, dopo sette anni, alla fine del 2018, siamo arrivati all’accordo”.

Dai 50mila euro iniziali il Donna L.I.S.A., grazie alla perizia, riesce a pattuire una quota da versare di 13.500 euro e un canone ridotto agevolato di 175 euro mensili, perché, nel frattempo, “siamo state riconosciute come Onlus”. Una vittoria dal gusto amaro, perché “13.500 euro per una realtà che si autofinanzia come noi, è una cifra enorme”, commenta Viviana Blaiotta, operatrice volontaria al Donna L.I.S.A. dal 2017. “Proprio perché il nostro è un centro profondamente radicato nel territorio, abbiamo pensato di mettere su piazza il nostro problema e lanciare un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso“, racconta. Si chiama ‘Io che centro’, la campagna, perché “la violenza ci tocca tutti, anche se non agisce a casa nostra” e perché “insieme è possibile fare molto”.

La meta dei 13.500, dopo oltre un mese, è ancora lontana e, a 52 giorni dalla scadenza, la raccolta è ferma a poco più di 2mila euro. Nel frattempo, si è attivata la rete solidale del quartiere nel III Municipio, con l’associazione ‘Piccoli Giganti’ che ha sferruzzato pezze di lana 40×40 cucite insieme a formare un lungo drappo rosso sfilato al corteo femminista dell’8 marzo scorso e donate, con una piccola sottoscrizione, alla fine della manifestazione.

“Ci dovrebbe essere uno spazio come questo in ogni quartiere”, dice Alessandra, raccontando della partecipazione di Donna L.I.S.A. alla Giornata degli spazi femministi in Campidoglio, lanciata da Non Una Di Meno lo scorso 18 aprile. “Gli spazi delle donne vanno difesi e moltiplicati, perché la violenza di genere si combatte facendo politica femminista”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it