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ROMA – In Tunisia, “tunnel” per facilitare il transito di elementi di Daesh da e verso zone di conflitto, reti di supporto alle persone intenzionate ad arruolarsi come ‘foreign fighters’ sostenute da funzionari ministeriali, centinaia di spie straniere entrate nel Paese dal 2011. Sono solo alcuni degli elementi che emergono dalla deposizione del segretario generale del sindacato della Sicurezza repubblicana, Mohamed Rezgui, in un’udienza della commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo tenutasi questa settimana.
Secondo Rezgui, un tunnel di oltre 70 chilometri tra Tunisia e Libia sarebbe stato scoperto dalla Guardia nazionale tunisina, altri collegherebbero il piccolo Paese del Maghreb con l’Algeria.
Le dichiarazioni del segretario parlano anche di ‘400 spie’ entrate in Tunisia tra il 2012 e il 2014 e dell’ingresso di 9 predicatori ‘allontanati dal Paese fin dall’era di Bourguiba’, terminata nel 1987.
Rezgui ha inoltre accusato la disciolta associazione di beneficienza ‘Amal’, fondata dall’ex capo dell’unità di sicurezza dell’Aeroporto di Tunisi Abdelkarim Laabidi, di aver facilitato la partenza di 500 tunisini verso aree di conflitto. I membri della commissione hanno sottolineato la gravità delle affermazioni di Rezgui, e ne hanno chiesto una verifica.
La stampa tunisina riferisce che alcuni deputati del partito islamista Ennahdha, si sono stupiti del fatto che “malgrado il volume considerevole di informazioni detenute da una struttura securitaria, questa non abbia reagito per anni”.
Secondo quanto riferisce la radio ‘Shems Fm’, il ministro dell’Interno tunisino, Lotfi Brahem, ha negato di essere al corrente di quanto sostenuto da Mohamed Ali Rezgui, aggiungendo: “che le supposizioni e dichiarazioni che dipendono dall’immaginazione non possono essere discusse senza elementi di prova”.
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