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Coronavirus, lo ‘spionaggio’ dei contagiati non è reato. Parola di esperto

Lo dice l'avvocato Andrea Lisi, esperto di diritto digitale e presidente di Anorc Professioni

Pubblicato:17-03-2020 10:05
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:09

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ROMA – Lo ‘spionaggio’ a tappeto dei contagiati con tracciamento dei cellulari e riconoscimenti facciali, sul modello adottato dalla Corea del Sud per evitare la diffusione del Coronavirus, “non calpesterebbe necessariamente i diritti dei cittadini, perche’ anche in Europa quello della protezione dei dati personali non e’ un diritto assoluto, bensi’ va bilanciato con gli altri diritti fondamentali e in questo caso con quello alla salute, non solo individuale, ma collettiva”. Lo dice l’avvocato Andrea Lisi, esperto di diritto digitale e presidente di Anorc Professioni, durante un’intervista alla Dire, commentando le misure di contenimento del virus messe in campo da Seul, che in Europa hanno fatto discutere.

Secondo quanto spiega Lisi l’attuale regolamento europeo, il 2016/679 Gdpr, “prevede la difesa del diritto fondamentale dell’individuo alla protezione dei dati personali, un diritto che possiamo ritenere oggi indirettamente garantito anche dalla Costituzione, che pero’ stabilisce non solo la protezione, ma anche l’adeguata circolazione dei nostri dati personali. Se c’e’ un’emergenza eccezionale come quella che si vive oggi- continua l’esperto- si entra nella sfera del diritto alla salute che e’ altrettanto fondamentale. Quindi in ipotesi eccezionali piu’ Stati europei potrebbero in qualche modo ridimensionare il diritto alla protezione dei dati favorendo la circolazione di alcuni dati con delle forme di controllo e garanzia, bilanciandolo cosi’ con queste esigenze eccezionali di tutela della salute pubblica”.

“Per fare una cosa del genere- spiega ancora l’esperto di diritto digitale e presidente di Anorc Professioni- sarebbe opportuno lavorare su una normativa europea specifica e di emergenza che operi quel bilanciamento tra i due diritti, cioe’ il diritto alla cosiddetta privacy e il diritto fondamentale alla salute, che potrebbe avere un enorme giovamento nel caso odierno grazie alla verifica degli spostamenti, dei contatti tra persone infette. È chiaro che bisognerebbe stabilire i tempi precisi di questo tracciamento, le modalita’, le procedure di sicurezza per garantire che soltanto alcuni specifici autorizzati possano accedere a quei dati e fino a che punto quei dati possono essere esposti senza essere previamente pseudoanonimizzati o anonimizzati. Quindi non possiamo pensare in Europa ad arrivare un controllo generalizzato e pervasivo dei cittadini, pur giustificato dall’emergenza, ma ad un equo bilandiamento tra i diversi diritti in gioco, determinando tempi e modi certi di questa forma di tracciamento e confermandone l’eccezionalita’ e le dovute garanzie”. 


“Anche i padri del diritto alla protezione dei dati come Stefano Rodota’ e Giovanni Buttarelli- conclude Lisi- non hanno mai pensato al diritto alla privacy come a un diritto assoluto, ricordiamocelo. Oggi stiamo combattendo una guerra e quindi alcune garanzie individuali possono essere compresse, come e’ stato del resto con la liberta’ di muoversi”.

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