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Pd, Rosati: “Il partito resti all’opposizione e pensi a primarie e congresso”

Antonio Rosati, esponente dem di lungo corso, con l'agenzia Dire fa una analisi del voto

Pubblicato:17-03-2018 13:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:38
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ROMA – “Niente ministri né ingresso in maggioranza, il Partito democratico deve restare all’opposizione, perché è lì che ci hanno messo gli elettori, e deve aprire una grande fase congressuale che culmini con le primarie, che sono uno strumento irrinunciabile per il Pd”. Parla chiaro Antonio Rosati, esponente dem di lungo corso, che con l’agenzia Dire fa una analisi del voto che lo scorso 4 marzo ha punito il centrosinistra. “E’ mancata empatia con le persone, il più grande errore di Renzi è stato creare un partito personalistico”, dice Rosati, che saluta con favore la candidatura di Nicola Zingaretti alla Segreteria del Pd: “Nel Lazio ha vinto grazie alle scelte fatte, ma soprattutto perché ha fatto capire agli elettori da che parte sta”.

– Il Partito democratico esce sconfitto da queste Politiche. In più di un’occasione lei aveva paventato questo rischio, ma se l’aspettava un crollo di queste proporzioni? Qual è la sua analisi?
“E’ stata una grandissima sconfitta, tra le più pesanti del dopoguerra. Nel mio piccolo, avevo provato a lanciare qualche piccolo segnale di allarme, ma non avevamo più un luogo per discuterne, e questo è uno dei drammi del Pd. Non mi aspettavo però una dimensione così di massa: il nord egemonizzato dal centrodestra, e in particolare dalla Lega, e tutto il sud, la parte più sofferente del Paese, che ha votato Cinque stelle. In questo senso, è un voto originale anche se le letture legate a Flat tax da una parte e Reddito di cittadinanza dall’altra mi appaiono troppo semplicistiche. Da parte nostra, è mancata totalmente l’empatia con chi non ce la fa e che vive nella paura. La Banca d’Italia proprio l’altro ieri ci ha fornito un dato impressionante: 13 milioni 800mila italiani vivono sotto o sulla soglia di povertà. Queste persone vivono in uno stato di paura permanente. E nella storia la paura porta a destra o a fenomeni di protesta, come i Cinque stelle. Per quanto riguarda il Partito democratico, dobbiamo attraversare un deserto molto lungo. Non ci basterà dire che dobbiamo tornare a essere più di sinistra, perché dobbiamo avere contenuti radicali, fantasia e proposte nuove. Il mondo è davvero cambiato, bisogna leggere le pieghe della società. Calenda ha centrato il punto quando ha detto che in campagna elettorale Renzi e tutto il Pd hanno raccontato in maniera quasi ossessiva le cose belle fatte durante questi anni. È vero che le abbiamo fatte, ma la realtà non si può ignorare: tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa dopo la Spagna e la Grecia, enormi problemi di debito pubblico e un livello di servizi non adeguato e non omogeneo”.
– Lei afferma che quando c’è la paura le persone si spostano a destra. Ma non le sembra che a sinistra abbiano trovato un vuoto?
“Non c’è dubbio. Il messaggio potente lanciato all’inizio da Renzi, con cui ha vinto anche alle Europee, è stato quello del cambiamento. Un’impostazione che ha ridato speranza a molti. Ma allo stesso tempo, l’ex segretario ha sottovalutato che da soli non si fa nulla: l’idea di un partito personale, forse copiata da alcune esperienze europee e internazionali, è stata secondo me il suo più grande errore. Di fronte a un capitalismo senza volto, da soli non si va da nessuna parte. La potenza della tecnica costringe la sinistra in Italia e nel mondo a essere da una parte più radicale, dall’altra più fantasiosa. Ma per farlo ha bisogno di un campo largo, vivo, che venga dal basso. A questa grande scommessa di protezione e di rilancio dell’uguaglianza devono partecipare migliaia e migliaia di uomini e di donne, di scienziati, di ricercatori, professionisti e associazioni. E perché no, anche una grande alleanza, in alcuni casi, con il mondo cattolico”.

– In queste ore si sta discutendo sulla formazione del nuovo governo. Che cosa deve fare il Pd a suo avviso?
“Dobbiamo rispettare il voto degli italiani che ci hanno detto di stare all’opposizione. Tra l’altro, può farci bene per molti motivi, anche per quella rigenerazione di cui parla Zingaretti. Ma questo non significa non avere senso di responsabilità, che la sinistra ha storicamente avuto, dal dopoguerra in poi. La mia opinione è che se il presidente della Repubblica dovesse chiamarci a momenti di condivisione, temporanea e transitoria su provvedimenti che siano utili all’Italia, così come fu col terrorismo, per esempio, dobbiamo fare la nostra parte. Ma dall’opposizione, il che vuol dire non avere ministri e non entrare in maggioranza. Si votano o ci si astiene sui singoli provvedimenti utili, a partire dai presidenti della Camera e del Senato, se arrivano proposte credibili”.
– E dal punto di vista interno? Dopo le dimissioni di Renzi qual è il percorso da seguire?
“Senza dubbio un congresso lungo, che apra una fase importante di grande discussione. Sono colpito dalle telefonate che ricevo e dalle tante richieste di iscrizione al partito. È evidente che c’è la sensazione che siamo all’ultima spiaggia, ma non tanto per il Partito democratico, quanto per una idea di riscatto, di ribaltamento di forze tra chi sta sotto e chi sta sopra. C’è la sensazione che siamo davvero a un punto di non ritorno. Per questo sono contrario a eleggere un segretario ad aprile: bisogna aprire una grande fase di discussione, possibilmente aperta anche ad altre realtà, come associazioni e università. E poi passare per le nostre sezioni e arrivare alle primarie, che sono la caratteristica irrinunciabile del Partito democratico”.


– A proposito di primarie, all’indomani del 4 marzo è arrivata la proposta di candidatura del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti.
“Saluto positivamente la prospettiva di Nicola Zingaretti. E a proposito voglio invitare a una riflessione sul voto nel Lazio e sulla vittoria incredibile di Zingaretti. Come è possibile che lo stesso giorno alla Camera, dove votano anche i giovani, il centrosinistra è sotto di 300mila voti e Zingaretti invece vince per oltre 40mila voti? Che cosa è scattato negli elettori? Certamente è merito della sua figura, della sua sobrietà e del suo rigore, ma probabilmente anche delle scelte concrete che ha fatto. Ho la sensazione che nel Lazio ci abbiano fatto vincere i giovani, perché hanno visto un leader che è entrato in empatia con loro. Per esempio, con tre provvedimenti, il bando delle terre, le start up giovanili e Torno subito, abbiamo parlato ai ragazzi e alle ragazze di questa regione senza dire loro che la mattina dopo avrebbero avuto il lavoro, ma facendo vedere concretamente da che parte stiamo. Questa è l’empatia che ha dimostrato Zingaretti. E poi, diciamolo, la politica è alleanza non solo politica, ma anche sociale. Questo Paese cambia se un intero popolo si mette in cammino insieme a un leader. E io penso che nel Lazio Zingaretti sia stato in grado di rappresentare questo”

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