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BOLOGNA – Agli appassionati di musica quella chitarra così particolare, soprattutto su un palco come quello di Sanremo, non è certo passata inosservata. Ma in ogni caso ci aveva pensato lo stesso Lucio Corsi ad anticiparlo, con un post su Instagram qualche ora prima della finalissima di sabato. “Stasera mi vesto chitarra Wandrè– ha scritto il cantautore toscano sui social l’altro giorno- per l’ultima notte all’Ariston serviva tirare fuori Excalibur dalla custodia”. Ai più, quel nome molto probabilmente dice poco. E ne è consapevole anche Corsi, tanto da citare nel suo post Francesco Guccini. “Wandrè! Chi era costui?- diceva il ‘Maestrone’- mi raccontano che faceva chitarre, ma non chitarre come hanno da essere le chitarre, piuttosto oggetti dotati di anima propria, ribelli, addirittura pericolose. Che se fai l’errore di prenderne una in mano rischi di perderti e non ritrovarti mai più”.
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Antonio Pioli, in arte Wandrè, è stato uno dei liutai più geniali e visionari d’Italia, e non solo. Originario di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, è molto poco conosciuto nel nostro Paese, ma quasi venerato all’estero. Bob Dylan e Frank Zappa, ad esempio, erano estimatori delle sue chitarre. Sean Lennon possiede il modello ‘Scarabeo’, ispirato ai Beatles, la cui paletta è modellata sul profilo del volto di suo padre John. Ma una Wandrè è stata usata anche da Ace Frehley, ex chitarrista dei Kiss, e Johnny Depp ne ha regalata una a Joe Perry degli Aerosmith. In Italia Pioli costruì la prima chitarra elettrica di Adriano Celentano e anche l’unica mai utilizzata da Guccini, oltre a quelle per i Nomadi. Ma vantano una Wandrè anche artisti come Federico Poggipollini e Filippo Graziani.
Realizzate negli anni Sessanta, le chitarre di Pioli erano veri e propri pezzi di pop art, che mischiavano surrealismo, futurismo e psichedelia. Si tratta per lo di più pezzi unici (il valore può arrivare a 25.000 euro), tutti ispirati a fatti di attualità o alla politica dell’epoca, a personaggi famosi o anche a esperienze personali dello stesso Pioli. C’è appunto la chitarra dedicata ai Beatles e quella a Brigitte Bardot, ma anche modelli influenzati dalle esplorazioni spaziali. Dal 1960 al 1970 Wandrè realizzò le sue chitarre a Cavriago in un’avveniristica (e utopica) fabbrica rotonda, open space, con una grande finestra ovale sul tetto, perché sosteneva che il lavoro è comunque una costrizione, anche quando piace, e che gli operai dovessero sempre sentirsi liberi. Gli stessi lavoratori erano coinvolti nell’organizzazione e pianificazione del lavoro, nella personalizzazione dei modelli e nella promozione.
Per celebrare i 20 anni della morte di Pioli, avvenuta nel 2004, il Museo internazionale della musica di Bologna l’anno scorso ha organizzato una mostra dedicata a lui (“Wandrè-La chitarra del futuro“), con molti dei suoi pezzi esposti. “Grazie infinite a Marco Ballestri e la banda di Wandreani che ci hanno permesso di portare queste chitarre così magiche sul palco del festival della canzone italiana”, scrive ancora Lucio Corsi nel suo post.
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