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Sanità, ‘terapie intensive in tempo reale’: l’idea Siaarti per il Ssn

Siaarti, la Società italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, in conferenza stampa a Codogno per tracciare il bilancio di quanto fatto fino ad oggi e lanciare due proposte per continuare a rispondere alla quotidianità ed alle emergenze.

Pubblicato:17-02-2021 19:40
Ultimo aggiornamento:17-02-2021 19:40
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Codogno (Lodi) – Un anno di lotta contro il Coronavirus, un anno da anestesisti-rianimatori in prima linea: questa è la storia raccontata oggi dove tutto cominciò dai rappresentanti della Siaarti, la Società italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, che durante una conferenza stampa allestita nella sala congressi dell’ospedale di Codogno ha tracciato il bilancio di quanto fatto fino ad oggi e soprattutto quanto la professione ha in programma di fare per continuare a rispondere alla quotidianità ed alle emergenze. “Cose che abbiamo fatto, cose che faremo” è il titolo con cui si è deciso di ‘vestire’ l’importante appuntamento, trasmesso via streaming e aperto a numero limitato, nel proscenio di quello che a tutti gli effetti è il luogo simbolo della lotta al Covid-19, italiana e non solo.

“Abbiamo dato il massimo in un anno davvero impegnativo e vissuto sempre in trincea”, afferma la presidente Siaarti Flavia Petrini, che ha introdotto la mattinata con i ringraziamenti “a tutti le colleghe e i colleghi italiani, che dal 21 febbraio 2020 fino ad oggi hanno permesso una gestione continua dell’emergenza pandemica, senza risparmiarsi”, creando insieme agli altri sanitari coinvolti “quel baluardo assistenziale che ha permesso di salvare vite e di aiutare il Servizio sanitario nazionale a resistere in condizioni realmente estreme”.

A iniziare da Annalisa Malara, l’anestesista allora in servizio a Codogno che riuscì a diagnosticare il primo caso di Coronavirus italiano, quasi un anno fa, che ha presenziato all’evento insieme al direttore della Scuola di specializzazione in anestesia dell’Università Statale di Milano, Antonio Pesenti, il coordinatore della rete terapie intensive della Regione Lombardia (oltre che responsabile dell’area ‘rianimazione-TI’ Siaarti), Giacomo Grasselli, il coordinatore regionale Siaarti, Giuseppe Foti, il direttore del reparto anestesia dell’Ospedale Maggiore di Lodi, Gianluca Russo, il direttore della scuola di specializzazione dell’Università di Pavia, Francesco Mojoli, e il presidente Aaroi-Emac, Alessandro Vergallo. Un dialogo aperto, con diverse e dirette testimonianze in cui sono stati messi a fuoco i ruoli essenziali svolti dalla rete lombarda delle terapie intensive e degli anestesisti-rianimatori come ‘primo baluardo’ della salute degli italiani.


Tuttavia, ciò che gli anestesisti-rianimatori hanno dato al Paese fino ad oggi è stato solo una parte di ciò che Siaarti ha dichiarato a Codogno: la parte centrale dell’appuntamento è stata infatti occupata dal futuro e dalle attività che il settore sta avviando per cercare di rispondere a quei problemi che l’emergenza ha portato in primo piano. “Due progetti ci stanno a cuore oggi e vogliamo qui presentarli”, sottolinea Petrini, ossia il ‘Registro-cruscotto delle terapie intensive italiane’, e il progetto ‘Giorgio’s’, iniziativa di raccolta dati “volta a descrivere realtà strutturale ed operativa dei blocchi operatori degli ospedali italiani”.

Il Registro-cruscotto viene avviato da Siaarti per creare “uno strumento unico di rendicontazione fra le Regioni e i centri ospedalieri dotati di reparti di terapia intensiva”. In poche parole, il progetto nasce per offrire una consultazione in tempo reale delle unità di terapia intensiva accompagnata da un monitoraggio, sempre in tempo reale, dello stato di occupazione dei posti letto Ti. Oltre a questo, il nuovo metodo ideato da Siaarti garantirebbe trasparenza e aggiornamento quotidiano dei dati a cura della dirigenza medica, senza contare “un’ottimizzazione del sistema” che sarebbe propedeutica all’attivazione prima, e alla messa a regime poi, degli investimenti strumentali e strutturali stanziati con il recente Decreto Rilancio. In più, il cruscotto nazionale garantirebbe alle istituzioni un accesso ai dati raccolti.

Il progetto ‘Giorgio’s’, invece (che sta per ‘Gruppo italiano organizzazione e ricerca gestione integrata operativa ’Siaarti’) ha invece l’obiettivo di fornire una descrizione completa della struttura e delle attività di un blocco operatorio e di confrontare blocchi omogenei fra loro, evidenziandone punti di forza e debolezza, tutto per contribuire all’efficienza del sistema e al miglioramento della sicurezza. Questo sistema consentirà, se ampliato su larga scala, di capire qual è la riduzione o l’aumento delle attività chirurgiche nelle varie fasi di un evento come la pandemia che stiamo vivendo, ma soprattutto in tempi ‘normali’.

Riteniamo che questi due progetti siano un contributo concreto a tutto il Sistema sanitario nazionale– spiega la presidente Siaarti- che in molte occasioni ha confermato il bisogno di poter disporre di quei dati necessari per una programmazione corretta delle sue attività, siano esse in emergenza, che in condizioni abituali”.

PETRINI (SIAARTI): 3-4 ANNI PER FORMARE UN ANESTESISTA

Noi abbiamo bisogno di resistere, e di avere quella sensazione di essere apprezzati che ti fa resistere allo sforzo enorme. C’era durante la prima ondata, in cui ci sono piaciute molto le manifestazioni di solidarietà della popolazione, adesso manca. Non ci serve la gratitudine, vorremmo la comprensione di una popolazione che fosse unita: ci piaceva l’Italia che cantava sui balconi“. È l’appello lanciato dalla presidente di Siaarti, Flavia Petrini, a margine della conferenza stampa con cui la Società italiana di anestesia, anelgesia, rianimazione e terapia intensiva ha voluto tracciare un bilancio a un anno dell’esplosione pandemica in Italia nel luogo simbolo, lanciando al contempo alcune idee per imparare ad affrontare meglio le sfide emergenziali- e non- che ci riserverà il futuro.

La resistenza di cui parla Petrini non può essere supportata da risorse, ma da personale che necessariamente è impossibile impiegare da subito. “Non bastano solo le risorse, ci vuole tempo”, sottolinea la numero uno di Siaarti: “Noi facciamo il nostro lavoro, e siccome lavoriamo a testa bassa chi per noi deve decidere, ossia il ministero della Salute e quello dell’Università, deve capire che prima di avere un numero di specialisti sufficienti a popolare questa rete che è stata ampliata ci vorranno almeno altri tre o quattro anni“.

Quindi, nel frattempo, “bisogna resistere”. E per resistere serve aiuto da parte di tutti, perché come afferma Petrini “è avvilente lavorare tutto il giorno, uscire e vedere la mancanza di rispetto delle norme di precauzione che sono tuttora necessarie, anzi ancora di più, visto le varianti”. Per non parlare delle condizioni psicofisiche di rianimatori e anestesisti, e del cosiddetto effetto burn out, quella patologia da stress “ancora più pericolosa della contaminazione”. Già, perché se un contagiato “sta a casa dieci giorni”, uno in burn out “è bruciato”, sottolinea. Una resistenza che va sostenuta con interventi indirizzati verso la crescita della professione di anestesista, che deve necessariamente cercare una cassa di risonanza più ampia, anche grazie ad eventi come la conferenza stampa di oggi.

“Se non si fa sorgere la vocazione, mancheranno quelli che aderiscono al bando per le scuole di specializzazione, per quello siamo preoccupati”, aggiunge la presidente Siaarti, la cui volontà è che “molti giovani vengano folgorati sulla via degli studi di Medicina e Chirurgia e decidano di fare questa professione, che è una professione bellissima”, che racchiude il senso della ‘cura’ a tutto tondo. “Il motto storico di Siaarti è ‘pro vita contra dolorem semper’, ma durante questa pandemia, fin dal primo congresso abbiamo promosso il motto ‘i care’, me ne faccio carico, me ne prendo cura, che mi sembra una cosa bellissima- chiosa Petrini- perché dà un senso di cure complessive e di assistenza”.

PESENTI: CRISI SANITARIA, MA ATTENZIONE A QUELLA UMANITARIA

In Italia la pandemia ha portato due tipi distinti di emergenza, quella sanitaria e quella umanitaria. Fortunatamente, la seconda è stata “limitata ad alcune aree” (come quella di Bergamo durante la prima ondata, ndr), ma questo non esclude “che potrebbero succedere questo tipo di situazioni” su scala più estesa, e si spera dunque che l’esperienza di contrasto alla pandemia di questi mesi ci renda “pronti” ad affrontarle. Il direttore della scuola di specializzazione in Anestesia dell’Università Statale di Milano, Antonio Pesenti, a margine della conferenza stampa organizzata da Siaarti (Società di anestesia e rianimazione) per tracciare il bilancio annuale di un anno a tutti gli effetti ‘epocale’, spiega qual è la sottile differenza tra una crisi di tipo sanitario come quella occorsa al paese in questi mesi, e quella di tipo umanitario, che ne può essere diretta conseguenza.

“Se c’è un’emergenza nel Sahel o nel sud Sudan non ci si preoccupa solo degli interventi sanitari, ma la gente deve mangiare, deve essere portata in ospedale, se un’intera famiglia si ammala bisogna pensare a tante cose oltre a quell’aspetto… Qui dobbiamo imparare che potrebbe succedere”, ammonisce.

MALARA, SCOPRITRICE DEL CASO 1: VERIFICARE SEMPRE, POI BUROCRAZIA…

L’applicazione di un metodo di lavoro ereditato dai colleghi più ‘maturi’ che consiglia di vagliare ogni ipotesi plausibile, seppur altamente improbabile. Il 20 febbraio del 2020 l’anestesista Annalisa Malara scopre a Codogno il primo caso di coronavirus in Europa: l’uomo è Mattia, il paziente uno, ricoverato con sospetta polmonite. “In quel momento la possibilità che si trattasse di una polmonite da coronavirus era a mio avviso una possibilità remota ma comunque concreta”, racconta a margine della conferenza stampa organizzata da Siaarti, con cui gli anestesisti-rianimatori hanno voluto tirare le somme di un anno eccezionale, e al contempo ipotizzare possibili soluzioni, sia per rivingorire un comparto affaticato, sia per migliorare la risposta alle emergenze, ma soprattutto per migliorare la gestione dei periodi di gestione ordinaria.

“Ho voluto andare a fondo a questa ipotesi diagnostica nonostante per quelle che erano le nostre conoscenze al momento questo paziente non fosse ritenuto a rischio di coronavirus“, spiega, raccontando anche delle difficoltà contingenti che riguardavano tutto l’aspetto ‘comunicativo’ del frangente. “Una grande pressione”, perché alla gestione clinica di un paziente “comunque giovane e con una funzionalità respiratoria gravemente compromessa” si è aggiunta una parte di lavoro “gestionale e burocratico che in generale impatta tantissimo sul nostro lavoro, e a maggior ragione in una situazione del genere”.

Ospedale di Codogno centro del mondo, in quel 20 febbraio, dove ad accogliere i pazienti c’era Gianluca Russo, allora anestesista e ora direttore del reparto anestesia. Un anno in mezzo, in cui molto è cambiato, con la consapevolezza che molto dovrà ancora cambiare. “Sicuramente quella con il coronavirus è una convienza che durerà almeno un altro anno, quello che dobbiamo fare- spiega- è riuscire a dare delle risposte a tutti, mantenendo dei percorsi separati per evitare infezioni intraospedaliere, ma dando possibilità di cura ad altri pazienti”.

Difatti, la ‘specializzazione covid’ di Codogno è di fatto finita, vuoi per lo scenario diverso rispetto a un anno fa, vuoi per le esigenze che restano, come quelle degli altri ammalati. “Mentre prima siamo stati invasi da pazienti che avevano questa tipologia di patologia ed eravamo un ospedale che trattava solo pazienti covid– chiosa- adesso abbiamo anche l’obbligo di continuare a curare tutte quelle patologie che non si sono fermate”.

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