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Ragazza scomparsa 10 anni fa a Catania, arrestato l’ex convivente della madre

Le accuse per il 60enne sono di omicidio aggravato e occultamento di cadavere

Pubblicato:17-01-2022 11:20
Ultimo aggiornamento:17-01-2022 11:20
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PALERMO – Svolta nelle indagini sulla scomparsa di una ragazza di 22 anni di Acireale, in provincia di Catania, Agata Scuto, avvenuta nel giugno del 2012. La Procura di Catania ha chiesto e ottenuto l’arresto in carcere per un 60enne, Rosario Palermo, all’epoca convivente della madre della ragazza, con le accuse di omicidio aggravato e occultamento di cadavere.

Le indagini, condotte dai carabinieri di Acireale, sono partite nel 2020, dopo una telefonata alla trasmissione televisiva ‘Chi l’ha visto?’, su Rai3: una persona, all’epoca non identificata, affermò che il corpo della ragazza era nascosto nella cantina della casa della madre. I controlli, tuttavia, non portarono al ritrovamento del corpo ma l’inchiesta ripartì da zero con la ricostruzione degli spostamenti della vittima e di Palermo. I sospetti si sono così addensati sull’uomo, “in ragione del rapporto ‘particolare’ – sostiene la Procura etnea – che egli aveva instaurato nell’ultimo periodo con la ragazza”.

Gli investigatori hanno così scoperto che Palermo avrebbe mentito sui suoi spostamenti il giorno della scomparsa di Scuto. Agli inquirenti, infatti, l’uomo aveva raccontato che quel giorno si era recato a raccogliere lumache nella piana di Catania e origano sull’Etna. Una tesi che non ha convinto i magistrati, certi della “gravità degli indizi di colpevolezza” nei confronti del 60enne accusato dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere della ragazza.

Ad incastrarlo sono state le sue stesse parole: intercettato nella propria auto, infatti, aveva manifestato il timore sulla possibilità che il corpo della vittima potesse essere scoperto in un casolare di Pachino, in provincia di Siracusa, e che potesse essere scoperta la modalità dell’omicidio: strangolamento. Da qui la riflessione dell’uomo sulla necessità di recarsi a Pachino per verificare cosa fosse rimasto del cadavere. Palermo avrebbe cercato inoltre di inquinare le prove “ottenendo dai suoi conoscenti la conferma del suo falso alibi” e predisponendo quella che gli inquirenti definiscono “una complessa messa in scena” per simulare tracce che irrobustissero la sua versione rispetto a quel giorno: un ferimento alla gamba per una presunta caduta in montagna.


L’uomo avrebbe poi tentato di nascondere un tondino di ferro intriso del suo sangue in una zona dell’Etna e che sarebbe quindi servito a confermare il suo alibi. Tutto questo, però, non è servito perché il gip ha comunque fatto scattare l’arresto.

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