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Dal crack ai farmaci calmanti, passando per la cocaina: le sostanze che girano nei rave party

Bertoletti (Cooperativa Cat): "Il decreto è una 'scorciatoia' e se verrà applicato i consumi diventeranno sempre più individuali e con maggiore pericolo"

Pubblicato:16-11-2022 17:04
Ultimo aggiornamento:16-11-2022 17:06

decreto anti rave
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ROMA – “Il mondo delle sostanze oggi è un universo di policonsumi e policosumatori, dove riaffiora pesantemente il consumo di crack. Un universo che si mostra soprattutto all’interno dei luoghi ‘illegali’ che da anni con il nostro lavoro interno possiamo osservare e monitorare. Il decreto è una ‘scorciatoia’ e se verrà applicato i consumi diventeranno sempre più individuali e con maggiore pericolo”. Parla all’agenzia Dire Stefano Bertoletti, psicologo sociale responsabile del settore prevenzione e dipendenze di Extreme. Il progetto che dal 1999, con la cooperativa di Firenze CAT, lavora sulla riduzione del danno e interviene nei festival musicali. Rave party, centri sociali, feste private e contesti di divertimento notturno. È una presenza storica quella della cooperativa all’interno di contesti illegali con zone chillout, materiale informativo sui rischi connessi all’uso e abuso di sostanze psicoattive e con presidi di sicurezza.

Dalla nostra osservazione interna emerge infatti che “il consumo di crack torna nei contesti di maggiore marginalità. Si vende un prodotto già pronto. Il crack che alla fine è una elaborazione della cocaina, è già fatto e costa meno”. Quindi “si struttura un mercato di una droga più preoccupante che ti costringe ad un ritmo intenso e continuo fatto di pausa e consumo in maniera costante e ciclica. Tra gli effetti più evidenti tra i consumatori un’aggressività importante. Molto frequente tra gli stranieri e i migranti”.
Dopo la pandemia, inoltre, precisa lo psicologo “il mondo dei rave e della movida si è collegato. Anche nelle nuovissime generazioni ci sono fazioni di consumo di crack con un mercato sempre più strutturato. Nei rave sono comparse sostanze con principi attivi sempre più forti. Circolano farmaci calmanti e confermiamo sempre la presenza della cocaina. Stando dentro riusciamo ad avere una percezione della realtà e un punto di osservazione utile”.

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E sulle previsioni future dopo il decreto anti-rave, il responsabile del settore prevenzione e dipendenze Extreme ipotizza che “da una parte continuerebbero a fare party illegali con strategie più raffinate per occupare uno spazio. Minacce simili sono già venute. Ma il dato preoccupante è che potranno proliferare eventi più piccoli, nascosti e più pericolosi, difficili da captare e da raggiungere per le persone che hanno bisogno di aiuto”. Difatti, continua Bertoletti, “registriamo già negli ultimi anni l’emergere di un consumo sempre più individuale in contesti privati, dove c’è meno consapevolezza e maggiore pericolo. Ci saranno dei fronti di conflitto pesanti, caratterizzati da repressione. Il rave rappresenta la voglia e il bisogno di socializzare al di là delle principali costrizione dei contesti di divertimento, rappresenta il persistente bisogno di rompere schemi e il bisogno innato in tutte le società ed epoche storiche di oltrepassare le regole”. Quindi “il decreto mi sembra un abominio dal punto di vista del reato pensato. Pene e repressione fuori luogo. Una scorciatoia per risolvere in modo semplicistico un fenomeno complesso che fa parte della società ed è incontenibile. Il rave con il consumo libero delle sostanze all’interno di una manifestazione socializzante fa rivivere spazi urbani abbandonati che hanno una cultura di nicchia. All’interno di questa cornice prende vita il fenomeno del consumo dove noi lavoriamo per una riduzione del danno e dei rischi”.

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Per lo psicologo Bertoletti “il rave rappresenta un contesto particolare che non richiede delle norme così pesanti. Questa iniziativa legislativa serve a produrre consenso, inoltre si parla in maniera semplificata del consumo di droghe. Questo governo dovrebbe riconoscere il lavoro che da anni facciamo portando un servizio concreto di tutela alla salute dei consumatori. Con i servizi esterni, stand, operatori formati e primo soccorso- conclude- possiamo intervenire su situazioni psichiche e promuovere un lavoro di mediazione tra organizzatori e forze dell’ordine”.

RAVE. DE FACCI (CNCA): PRESENTI NEGLI ILLEGALI MA ANCHE MOVIDE URBANE SCOMPOSTE

Bloccare i rave party. Il nuovo governo parte così, con il decreto numero uno che dovrebbe approdare in commissione giustizia al Senato nei prossimi giorni per essere convertito in legge. L’ufficio di Presidenza ha stabilito ieri il calendario dei lavori della commissione, subito dopo i ritocchi del decreto. “Avrà l’attenzione che merita”, ha garantito la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno. Mentre si fa avanti l’ipotesi di una leggera diminuzione delle pene previste per chi organizza o partecipa ai rave party, il Cnca invita “a non guardare fenomeni complessi come questi dal buco della serratura della repressione. Una risposta repressiva non è mai adeguata, la nostra osservazione ci dice che anche le movide urbane sono molto scomposte e caratterizzate da un consumo di sostanze significativo”. A dirlo all’agenzia Dire è Riccardo De Facci, l’attuale presidente del Cnca, Coordinamento nazionale delle Comunità d’accoglienza, la più grossa rete nazionale nata nel 1986 con Don Luigi Ciotti.

Il provvedimento del governo Meloni preoccupa diverse realtà che da anni operano all’interno dei contesti giovanili di uso e consumo di sostanze stupefacenti. “Una modalità ‘manifesto’ e ideologica nell’affrontare un problema nei confronti di un mondo giovanile con una voglia eccessiva di divertimento in uscita da un periodo complesso di chiusure- spiega il presidente- Una voglia che va rispettata attraverso il contenimento e non con la repressione. Eravamo presenti a Modena e la nostra unità composta da 50 operatori ha svolto un importante ruolo di mediazione tra organizzatori e Forze dell’Ordine”. Il Cnca infatti “è la più grossa rete privata delle comunità terapeutiche, un’associazione di promozione sociale organizzata in 16 federazioni regionali a cui aderiscono circa 260 organizzazioni presenti in quasi tutte le regioni d’Italia, fra cooperative sociali, associazioni di volontariato ed enti religiosi. È presente in tutti i settori del disagio e dell’emarginazione, con l’intento di promuovere diritti di cittadinanza e benessere sociale. Abbiamo 80 unità mobili che sui territori si muovono nei luoghi della movida, rave compresi, perché possibili situazioni di rischio”.

Da quale riflessione si sviluppa la scelta del contesto ‘rave’ per svolgere la prevenzione? Che tipo di intervento è il vostro? “Ci sembra importate essere presenti in questi luoghi dove i giovani incontrano le sostanze. Basti pensare che passano 10 anni dal momento in cui una persona scopre che il suo consumo sta diventando problematico e il momento in cui si registra ai servizi. Noi abbiamo scelto di operare su più fronti da una parte con équipe che operano nei servizi e dall’altra con équipe che stanno settimanalmente nei contesti della movida e del divertimento, dove sappiamo che il consumo di sostanze è maggiore. Come è stato confermato alla VI Conferenza nazionale sulle dipendenze che si è tenuta a Genova nel 2021 gli interventi di riduzione del danno sono finalizzati ad aumentare la consapevolezza dei rischi e questo ci ha portato da anni ad essere presenti anche nei rave. Ci sono operatori che in quel contesto svolgono un importante servizio di prossimità, supporto e prevenzione. Siamo da anni nei rave con presidi sanitari acqua, aiuti e zona chillaout di ascolto. In buona sostanza forniamo un ‘presidio di sicurezza e salvaguardia, anche per il territorio'”.

Rispetto al decreto “Ci aspettiamo, alla luce della pandemia e delle problematiche sopraggiunte, un rilancio serio delle politiche giovanili. Con questo non dobbiamo confondere il tema del controllo degli spazi abbandonati, degradati e il modo scomposto di divertirsi. Bisogna guardare a fenomeni complessi come questi non dal ‘buco della serratura’. Una risposta repressiva non è mai adeguata, soprattutto alla luce delle realtà che operano attivamente all’interno di un contesto come il rave”. E ancora “riteniamo che questo decreto sia stato scritto e pensato in maniera stupida. Non siamo stati ascoltati da nessuno. Auspichiamo che al di là delle ideologie si provi insieme a capire a come rispondere alle tante domande. Ci aspettiamo quindi un confronto serio di ipotesi. Il Ministero della Sanità deve poter garantire i livelli essenziali di assistenza e iniziare a lavorare con le persone nei loro contesti di aiuto dove è necessario. Ci aspettiamo che il governo si confronti a partire da queste situazioni”.

“Il rave è molto spesso legato allo stigma, per noi operatori è invece un contesto di illegalità come un altro dove portare il nostro intervento con un approccio laico di salute pubblica attraverso la prossimità. La nostra presenza nei rave ci permette di monitorare il variare del consumo delle sostanze negli anni“. Isabella Iommetti è la responsabile del progetto Nautilus della cooperativa Il Cammino, che nasce nel 2003 come unità mobile nei contesti della movida notturna, legali e illegali. Da una prima fase sperimentale di esperienze di riduzione del danno, il progetto diventa servizio socio sanitario finanziato dalla Regione Lazio. Obiettivo è quello di tutelare la salute dei consumatori, offrendo strumenti d’informazione, consulenze, interventi di primo soccorso all’interno di contesti di consumo legali e illegali, attraverso la cosiddetta “riduzione del danno”. Negli anni Settanta nel Nord Europa nascono le prime esperienze di ‘Riduzione del danno’ che iniziano a diffondersi in Italia solo dai Novanta. Si tratta di un insieme di forme di intervento utili per ridurre le conseguenze fisiche e sociali negative, associate ad alcuni tipi di comportamenti, come l’assunzione di stupefacenti. Obiettivo era quello di creare un’alternativa rispetto ad approcci più istituzionali, stigmatizzanti e coercitivi più orientati a strategie di contrasto. A partire da qui, gli stili di consumo e significati culturali relativi all’utilizzo delle sostanze sono mutati. Nautilus, Extreme di CAT e altri progetti nascono in questa cornice. Sono 23 le organizzazioni del Cnca che operano all’interno dei contesti giovanili legali e illegali del divertimento.

RAVE. PSICOLOGA NAUTILUS: NO STIGMA, DA DENTRO MONITORIAMO VARIARE CONSUMI

Nautilus – che a Roma unisce realtà del privato sociale quali Il Cammino, La Tenda, Parsec, Magliana 80 – organizza interventi in funzione dei bisogni reali espressi dai consumatori con una rete di supporto integrata da medici, psicologici, operatori per sensibilizzare sui rischi connessi all’assunzione di sostanze psicotrope nei contesti della movida, come i rave manifestazioni trasversali di divertimento dove c’è consumo di stupefacenti, forse più consapevole. “Da questo decreto emerge forse una rappresentazione semplificata di un mondo complesso. Da anni noi offriamo un presidio di sicurezza” spiega la psicologa Isabella Iommetti- il nostro obiettivo rimane quello di entrare nella movida notturna e portare un servizio di salute pubblica con un approccio di bassa soglia attraverso la consulenza e l’informazione, partendo dal presupposto che ogni tipologia di contesto ha un’utenza diversa. Questo ci permette di monitorare il variare del consumo negli anni. Obiettivo ridurre i danni derivanti da comportamenti cosiddetti ‘a rischio’ che vanno dal consumo di sostanze alle malattie sessualmente trasmissibili. Fornire un servizio dentro il divertimento lì dove il consumo di sostanze si sostanzia e si manifesta veramente. All’interno dei rave forniamo non solo un servizio di limitazione dei rischi, ma mediamo con le forze dell’ordine cercando di garantire la sicurezza territoriale”. “La repressione per noi non può essere la soluzione– aggiunge Iommetti- quello che andrebbe fatto è prendere coscienza che per i consumi esistono azioni differenti. Ultimamente stiamo iniziando analisi delle sostanze abbiamo colleghi di Torino che la fanno da qualche anno con presidi fissi. In Italia la situazione è peggiore rispetto ad altri contesti europei, sia in termini di stigma sia per quanto riguarda fondi e dunque servizi attuabili, ma stiamo lavorando anche in cooperazione per allargare consapevolezza e offerte sul territorio nazionale”.

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