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VIDEO | Studio Uk: “Con il lockdown i ragazzi regrediscono”. Ido: “Non meravigliamoci”

Lo psicologo: "In Italia segnali già da mesi, ora si registra un peggioramento"

Pubblicato:16-11-2020 15:45
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:15

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ROMA –  Regressioni nelle competenze caratterizzata dalla perdita di alcune capacità di base e di apprendimento per i più piccoli e perdita della forma fisica oltre a segni di disagio mentale, incluso un aumento dei disturbi alimentari e dell’autolesionismo, per i più grandi. Sono solo alcuni degli aspetti registrati dall’ultimo rapporto dell’Ofsted (Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills) sugli effetti negativi che la pandemia sta avendo su bambini e ragazzi.

LA RICERCA

La ricerca è stata condotta in 900 centri educativi del territorio inglese tra settembre e ottobre 2020 e ha messo in evidenza come, da un punto di vista cognitivo, l’impatto della pandemia si sia sviluppato su quattro aree diverse: impatto scolastico, impatto cognitivo, impatto fisico e impatto sociale. Alcuni bambini con genitori che avevano un lavoro meno flessibile e quindi non riuscivano a seguirli direttamente, hanno dimenticato i progressi fatti con numeri e parole, altri hanno scordato come si usano coltello e forchetta a tavola e altri ancora sono tornati all’uso del pannolino che avevano ormai abbandonato.


Nei più grandi i ricercatori hanno riscontrato anche che molti attualmente mancano di resistenza nella lettura e nella scrittura. “Non dobbiamo meravigliarci. Quando accadono situazioni socialmente molto forti è chiaro che tutti ne risentiamo e le persone più sensibili e più vulnerabili hanno, ovviamente, delle ricadute maggiori”. Commenta così Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), lo studio dell’organo di vigilanza inglese e aggiunge: “Sono aspetti che in Italia avevamo già rilevato da mesi e di cui adesso stiamo registrando un peggioramento”. Per quanto riguarda gli adolescenti, per esempio, “immaginavamo che con la fine del lockdown avremmo avuto le strade invase dai ragazzi, ma così non è stato- rileva lo psicoterapeuta- molti sono rimasti in casa, e da qui l’espressione ‘sindrome della capanna’. Abbiamo riscontrato una tendenza dei ragazzi a chiudersi e ad utilizzare il cellulare come unico referente per la relazione“, sottolinea Castelbianco. Ora “quello che vediamo è che stiamo passando dalla ‘sindrome della capanna’ al problema degli hikikomori, ossia ragazzi chiusi in casa per almeno sei mesi consecutivi che vivono solo col loro computer”.

I GRUPPI DI SOSTEGNO DELL’IDO

In virtu’ di questo l’IdO, intercettando il problema, ha avviato in tutta Italia dei gruppi sostegno per le famiglie con ragazzi ritirati “a ogni gruppo hanno aderito spontaneamente terapeuti di ogni parte del Paese, segno che il problema riguarda trasversalmente tutte le regioni”, evidenzia Castelbianco. Così come “le forme di autolesionismo come il tagliarsi, il cosiddetto cutting, fanno parte delle manifestazioni di soggetti vulnerabili quando attraversano momenti di basso tono dell’umore che possono arrivare fino alla depressione”, rileva lo psicoterapeuta. “Siamo di fronte a situazioni molto difficili di cui stiamo vedendo solo gli aspetti più manifesti, ma in verità l’aspetto più grave è quanto tutto questo incide negli anni. Quello che è successo è un trauma- dice Castelbianco- non possiamo considerarlo un’esperienza negativa, è un vero e proprio trauma con tutte le conseguenze che si vedranno più avanti. La situazione è molto problematica, il fatto che i ragazzi non vadano a scuola poi è un peggioramento. Noi adulti dobbiamo comprendere che non ci si deve fermare agli aspetti più evidenti, per quanto manifesti, scenografici o che ci possono colpire emotivamente, ma dobbiamo comprendere quello che c’é dietro. Il tagliarsi, per esempio, per i ragazzi che lo fanno è un modo per sentirsi vivi e noi non dobbiamo fermarci al taglio in sé ma pensare che dietro al cutting c’é una forma di depressione”, spiega Castelbianco. Così come le regressioni nei bambini più piccoli rilevate dal rapporto Ofsted, sono aspetti che in Italia erano già stati messi in evidenza.

IL SERVIZIO ‘IDO CON VOI’

Tanto è vero che l’IdO aderendo alla proposta progettuale affidatagli dal ministero dell’Istruzione, e in collaborazione con la Società italiana di pediatria (Sip), ha da tempo avviato il servizio gratuito ‘IdO con voi’ per il supporto alle famiglie e ai docenti di bambini con disabilita’ e/o bisogni terapeutici/educativi speciali, nonche’ degli stessi ragazzi. Un servizio realizzato da un’equipe multispecialistica composta da medici (neuropsichiatra infantile, otorinolaringoiatria, pediatria), psicologi e psicoterapeuti dell’eta’ evolutiva, psicoanalisti, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricita’, educatori, per gestire, contenere e sostenere, anche a distanza, difficolta’ e bisogni specifici dei bambini e delle loro famiglie nel periodo di emergenza.

“La regressione infantile e’ determinata da vari fattori- precisa Castelbianco- e anche i genitori durante il lockdown non hanno avuto facilita’ di gestione dei figli. E’ comprensibile ed e’ chiaro che stare chiusi dentro casa porti con se’ dei problemi pero’- sottolinea lo psicoterapeuta- noi adulti dovremmo riuscire in qualche modo ad affrontarli o a dare una linea ai nostri figli, e non e’ facile”.

Prova ne è anche lo studio condotto presso l’ospedale pediatrico Santobono-Pausilipon di Napoli nel pieno della fase 1 della pandemia da Covid-19 che ha messo in evidenza come durante il periodo del lockdown siano aumentati gli accessi in pronto soccorso di bambini e ragazzi con crisi convulsive. “È plausibile che ad agire come innesco di queste crisi siano stati i cambiamenti nel ritmo del sonno e un maggior utilizzo dei device elettronici”, si legge nello studio, sottolineando come il tempo di utilizzo di computer, tablet, cellulari ecc. si fosse triplicato durante il lockdown. Uno scenario che “peggiorerebbe” di fronte a un’ altra chiusura nazionale, rimarca Castelbianco. “Si potrebbe stare meglio ma dipende da quanto siamo stati capaci di imparare”, conclude lo psicoterapeuta.

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