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La storia di Francesca: “Ho affrontato la mutazione genetica senza vittimismo”

La socia fondatrice, consigliera e vice presidente dell'Associazione Mutagens racconta all'Agenzia Dire il percorso di donna portatrice di una mutazione genetica germinale correlata a tumori

Pubblicato:16-11-2020 10:25
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:14

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ROMA – “Non sono una donna geneticamente portata al vittimismo, ho un forte attaccamento alla vita ed una grande praticità“. È così che Francesca Settimi, socia fondatrice, consigliera e vice presidente dell’Associazione Mutagens, racconta all’Agenzia Dire la sua storia: il percorso di donna portatrice di una mutazione genetica germinale correlata a tumori- nello specifico sul gene CDH1– associato al carcinoma gastrico ereditario di tipo diffuso e in correlazione al carcinoma mammario di tipo lobulare.

Il suo è un messaggio tutto incentrato sulla “speranza” e sull’importanza “della prevenzione”, ciò che le ha salvato la vita. Una storia iniziata da una nonna e una mamma portatrici della stessa mutazione che oggi non ci sono più, con un percorso simile. È dalle loro cartelle cliniche che Francesca è partita, dopo aver scoperto un nodulo al seno destro, in un incastro di eventi che le hanno permesso subito di escludere altre mutazioni responsabili di questo tumore, e di poter effettuare il primo test in Italia sulla mutazione CDH1. “È stata una grande intuizione da parte dei miei due genetisti, Bernardo Bonanni e Irene Feroce, quella di mettere in relazione il tumore alla mammella di mia madre e quello sempre mammario e poi gastrico di mia nonna, ed un bel regalo del destino che io fossi seguita allo IEO di Milano dalle uniche due persone in Italia che si stavano allora interessando di questa rara mutazione genetica– racconta Francesca- Era il 2012, sono risultata positiva al test CDH1, e ho deciso in una notte di procedere ad una gastrectomia totale profilattica sulla base di un unico studio internazionale datato 2010 e su un campione di meno di un centinaio di pazienti. Da fuori mi guardavano allibiti, mi mettevano di fronte al fatto che fosse un’operazione complicata. Capivo che potesse sembrare la decisione di un’invasata, ma io sono sempre stata abituata ad ascoltare il mio corpo, e qualcosa mi diceva che non era solo un intervento di prevenzione. L’esame istologico mi ha dato ragione: furono trovati tre focolai di adenocarcinoma gastrico di tipo diffuso a cellule ad anello con castone”.

Negli anni della mia adolescenza “avevo fatto esperienza e vissuto ‘passivamente’ la sofferenza legata agli aspetti delle malattie oncologiche- quando mia nonna è morta avevo 16 anni, e quando è mancata mia mamma a 45 anni io ne avevo 21- ero già molto indipendente da tutti i punti di vista e quindi quando ho scoperto di avere il primo tumore, l’ho affrontato con grande praticità. Sicuramente la mia fortuna è stata quella di essere seguita da un centro come lo Ieo di Milano, in maniera veloce e organizzata, e questo mi ha dato una grande sicurezza per il fatto di sapere quello che mi aspettava- continua- Il primo tumore è stato quasi un’esperienza ‘gioiosa’; non per volerlo negare, piuttosto perché credo sia stato importante avere persone intorno che mi hanno ricordato di quanto la vita sia bella, nonostante tutto”. Nel 2014 “un’ecografia di controllo aveva messo in evidenza un altro nodulo maligno, questa volta al seno sinistro, e sono stata sottoposta al secondo intervento di mastectomia questa volta con dissezione ascellare omolaterale per metastasi linfonodale. Nel 2017 ho poi preso un’altra decisione: sottopormi all’annessiectomia bilaterale. Era già dalla prima mastectomia che ero entrata in menopausa, perché costretta ad inibire gli estrogeni; così ci sono definitivamente entrata evitando anche la puntura mensile di enantone. Per la seconda volta la mia scelta è stata lungimirante perché l’istologico ha evidenziato metastasi ovariche bilaterali di carcinoma compatibile con primitività mammaria”.


Non nasconde Francesca che quel momento ha rappresentato “il primo e unico crollo psicologico; sono stati mesi difficili e con il consiglio di un’amica ho voluto provare l’agopuntura. In effetti mi è stata di grandissimo aiuto. Mi sono rivolta infatti a Pan Peter Hsien- già il suo nome prometteva bene- che ha lavorato sulla mia energia, e a circa metà sedute, come d’incanto, la pesantezza e il pessimismo che non mi sono mai appartenuti, si sono dissolti: veramente, l’energia ha ricominciato a circolare e mi ha permesso di tornare ad essere la persona resiliente, combattiva e speranzosa di sempre”.

Oggi Francesca convive con problemi di ipoglicemia, di dumping syndrome (sindrome di svuotamento correlata alla chirurgia subita) e con una forte osteoporosi. Dovrebbe iniziare una cura con il Prolia, un farmaco brevettato nel 2010 che però “ha forti effetti collaterali- racconta- Da quasi due anni non entro in una sala operatoria, ma faccio controlli ogni sei mesi per continuare a monitorare la situazione”. Accanto a Francesca c’è il marito, prima compagno, e poi sposo, con il quale “per festeggiare la vita” con tutti gli amici e familiari, è convolata a nozze dopo il primo tumore. “Mi ha supportato e ascoltato sempre ed ha rappresentato un grande aiuto, essendo anche lui medico; ha tradotto quando non capivo, in termini più semplici, vantaggi e svantaggi delle scelte mediche che ho affrontato in questi anni’. È stata altresì importantissima la mia amica Silvia Penco, radiologa dello Ieo, che, oltre ad avermi diagnosticato per due volte i carcinomi mammari, “ha vegliato e veglia costantemente sulla mia salute, consigliandomi fin dal primo momento della prima diagnosi i colleghi migliori nelle cui mani potessi mettermi”.

Francesca ha imparato a conoscere il suo ‘nuovo’ corpo. “Tutto quello che faccio deve essere pianificato e ho bisogno di riposo dopo giornate intense, altrimenti scompenso con la glicemia, non raramente posso sentirmi molto affaticata. La questione energetica è stato il motivo principale per cui ho dovuto rinunciare alla mia professione di architetto– racconta Francesca- non riuscivo a stare più tanto tempo fuori casa e a seguire quei ritmi”. A quel punto però è scattato il ‘piano b’. “Sono sempre stata appassionata di cucina, avevo già fatto tanti corsi, e un giorno la mia amica Clara mi ha proposto di aprire una scuola. Lì per lì ho pensato fosse folle viste le difficoltà come gastrectomizzata con il cibo; ma ho deciso di buttarmi in questo progetto. Abbiamo iniziato a fare dei corsi professionali, e ho sentito l’esigenza di avere un titolo di studio ufficiale per poter insegnare. In Italia data la nostra età non era stato possibile, così siamo partite per Parigi e abbiamo frequentato per tre anni la scuola Le Cordon Bleu diventando chef pâtissier. Oggi nella mia scuola di cucina ‘Cook on the Lakes’ sul Lago Maggiore faccio lezione principalmente a turisti stranieri, riuscendo a conciliare il lavoro con i momenti di riposo in accordo con la mia salute”. Come vice presidente di Mutagens, spiega: “L’Associazione ha diversi scopi importanti. Partendo dal presupposto che ogni malato è diverso dagli altri, è importante per chiunque avere un’informazione più chiara. Credo sia fondamentale che un medico dedichi quella mezz’ora in più ad un paziente per spiegare la meglio la sua situazione, che semplifichi concetti difficili in chiare parole. Purtroppo oggi la comunicazione medico-paziente è lacunosa e io spero che Mutagens si muova in questo senso. Lo scopo è far accedere chiunque alle informazioni, rendendolo più autonomo rispetto alle scelte mediche da affrontare. Io sono stata fortunata perché mio marito ha fatto questo per me, ma purtroppo non tutti hanno la stessa opportunità”. “Abbiamo infatti creato sul sito di Mutagens un glossario che possa aiutare la comprensione di vocaboli specifici, e nella sezione ‘Informati’ parliamo di Dna, cosa sono le mutazioni genetiche, cosa fare se si è portatore di una mutazione, e così via. Ricordiamoci poi che a volte ci troviamo di fronte a persone che non hanno un bagaglio di conoscenze per comprendere fino in fondo quello che sta capitando, è importante quindi colmare questi vuoti e soprattutto fare da tramite anche a livello pratico per tutte le cose che si dovranno affrontare. L’altra cosa strepitosa di Mutagens è che è riuscita a mettere assieme e a far parlare assieme, seduti allo stesso tavolo, colleghi che portano avanti la ricerca su queste mutazioni, e che hanno rarissime occasioni di potersi confrontare tra di loro”.

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“Il progetto di Mutagens va quindi nella direzione soprattutto delle persone, che siano pazienti o solo portatori sani di mutazioni, che spero troveranno utili gli strumenti che l’Associazione mette a disposizione. Chi ha una mutazione genetica rara deve poter conoscere prima di tutto di che cosa si tratta, sapere che c’è una comunità in appoggio, sapere dove andare e a chi rivolgersi. In qualsiasi malattia, poi non c’è mai una sola e unica ricetta; la speranza mi ha sempre guidata, come la mia pancia, che è quella voce che analizzata completamente la situazione, e, elementi alla mano, agisce in virtù di una consapevolezza profonda. La prevenzione- ammette Francesca senza indugi- mi ha salvato la vita, e gli istologici me l’hanno poi confermato. Così come i controlli che ci vengono consigliati di fare dalle varie campagne del Ministero della salute e gli screening sono assolutamente necessari, sia prima che dopo. Spesso ci lamentiamo del nostro sistema sanitario, ma a torto. Basta dare un’occhiata fuori dal nostro Paese per rendersene conto”.

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