Domenica 22 ottobre in Veneto si vota per il referendum sull’autonomia. In questo approfondimento, vi riassumiamo tutto ciò che c’è da sapere sul voto, sulle sue conseguenze e su tutto il contesto.
Tra meno di una settimana i cittadini veneti saranno chiamati alle urne per il referendum consultivo sull’autonomia del Veneto. Si voterà domenica 22 ottobre dalle 7 alle 23, ci si dovrà recare nel seggio indicato nella propria tessera elettorale ma per votare basterà avere con sé un documento di identità in corso di validità. Il voto avverrà con la stessa modalità dei referendum nazionali. Ci saranno quindi le cabine elettorali dove ritirarsi per compilare la propria scheda referendaria con la matita copiativa, ed un’urna, dove infilare la propria scheda compilata e ripiegata su se stessa. L’avvenuto voto sarà certificato con una ricevuta, sulla quale sarà apposto il timbro che nei referendum nazionali e nelle elezioni politiche viene fatto direttamente sulla tessera elettorale.
A gestire le operazioni di voto saranno commissari, segretario e presidente di seggio. Grazie al protocollo sottoscritto da Regione e Prefetture, le forze dell’ordine presidieranno i seggi per garantire che la consultazione popolare si svolga in modo regolare e sicuro.
“Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?“. Questo il quesito che i cittadini troveranno sulla scheda referendaria, unico approvato dalla Corte costituzionale sui cinque richiesti dalla Regione Veneto con una legge del 2014. Gli altri quattro quesiti, infatti, prevedevano che i cittadini si esprimessero su questioni fiscali (destinazione a beni e servizi regionali di almeno l’80% dei tributi pagati dai cittadini veneti all’amministrazione centrale, trattenimento da parte della regione di almeno l’80% delle tasse riscosse in Veneto, esenzione del gettito derivante dalle fonti di finanziamento regionale da vincoli di destinazione), e che chiedessero sostanzialmente una modifica della Costituzione (trasformazione del Veneto in regione a statuto speciale). Temi che, spiega la Corte costituzionale accogliendo il ricorso governativo nel giugno 2015, non si possono trattare nei referendum regionali. Così come non si può chiedere ai cittadini se vogliano che il Veneto diventi indipendente, cosa che la Regione intendeva fare con un altro referendum fermato dalla Corte costituzionale. Il quesito che i veneti troveranno domenica sulla scheda elettorale, insomma, è l’unico superstite. Nonostante qualcuno sostenga che sia una domanda troppo vaga, avendo passato il vaglio della Corte costituzionale risulta di fatto inattaccabile.
Il referendum prevede il quorum. Perché il quesito passi non basterà quindi che i Sì siano più dei No, ma dovrà andare alle urne il 50% degli aventi diritto al voto più uno. Ciò è previsto da una legge regionale sulle consultazioni referendarie e, a detta del governatore Luca Zaia, dimostra che si tratta di un referendum vero, non di un sondaggio. A differenza dei referendum nazionali, però, i circa 400 mila veneti che risiedono all’estero iscritti all’Aire saranno conteggiati nelle loro circoscrizioni e non potranno votare nel Paese in cui si trovano, ma dovranno invece tornare in Italia e votare nel loro seggio. Per farlo, tra l’altro, non godranno di alcuna agevolazione sui trasporti, cosa che potrebbe disincentivare la loro partecipazione e rendere più difficile il raggiungimento del quorum. I pazienti di ospedali, case di cura e case di riposo potranno invece votare in seggi “volanti” allestiti nelle strutture in cui sono ricoverati, a patto che inviino una richiesta formale entro il 19 ottobre.
Gli aventi diritto al voto saranno in totale 4.151.693, perché si raggiunga il quorum dovranno quindi votare 2.075.848 persone.
Si tratta di un referendum consultivo, il risultato non avrà quindi nessun effetto immediato. Una vittoria del Sì, ma soprattutto un’alta affluenza, permetterebbero però al governo regionale di trovarsi in una posizione di forza nella trattativa con il governo nazionale che sarà avviata in seguito alla consultazione. L’obiettivo dichiarato da Zaia è di ottenere “tutte le 23 competenze previste dagli articolo 116 e 117 della Costituzione“, quindi tutte le deleghe che al momento è legalmente possibile avere, con i relativi fondi. Sul punto le polemiche si sprecano, in quanto gli articoli in questione, in vigore dal 2001, non sono mai stati effettivamente applicati per nessuna Regione e non è quindi chiaro cosa comportino. Insomma, che vinca il Sì o che l’affluenza sia scarsa, il giorno dopo il referendum il Veneto si sveglierà diverso, ma sulla carta tutto rimarrà uguale. A cambiare sarà l’atteggiamento delle istituzioni regionali e romane. Nel lungo periodo, invece, una vittoria del Sì porterà ad una crescita del potere contrattuale del Veneto nel percorso previsto dalla Costituzione per l’attribuzione di competenze ora gestite dallo Stato o in modo concorrente.
“Questo non è il referendum dei partiti, è il referendum dei Veneti“, è un po’ il mantra di Luca Zaia negli ultimi mesi. Gli esponenti della Lega Nord, ovviamente i più sfegatati sostenitori del Sì, sono infatti ben attenti a non intestarsi il referendum per evitare che i detrattori del partito lo boicottino. Forza Italia, dal canto suo, ha in più occasioni sottolineato come questa consultazione si debba in realtà “a noi moderati del buon governo”, in quanto la Lega aveva chiesto solo il referendum per l’indipendenza che, come già ricordato, la Corte costituzionale ha poi bocciato. Il voto sull’autonomia è invece diventato legge su proposta dei forzisti in Consiglio regionale, ha sottolineato Massimo Giorgetti durante gli stati generali del partito, lo scorso venerdì.
A fianco delle forze di maggioranza si schiera il Movimento 5 stelle, da sempre ostile al governo romano e favorevole all’espressione democratica dei cittadini. Unica concessione alla condizione di oppositori, la provocazione rappresentata dalla proposta di tagliare i vitalizi ai consiglieri regionali in pensione recuperando così circa 13 milioni di euro, e di utilizzare quelli per finanziare il referendum, che avrà dei costi di poco maggiori. A favore del Sì, in ogni caso, sono ufficialmente schierate tutte le forze di opposizione tranne Mdp, che caldeggia l’astensione sostenendo che si tratta di un referendum inutile perché la Costituzione prevede che la trattativa tra Regione e governo nazionale si possa aprire senza bisogno di alcuna consultazione, e che quindi i soldi spesi per organizzarlo si potevano spendere in servizi.
Difficile la posizione del Partito democratico, al cui interno convivono diverse linee di pensiero sul referendum, e che dopo un periodo di empasse in cui non ha dato indicazioni chiare si è ufficialmente schierato a favore del Sì, proponendo però un Sì critico, ovvero riempito di contenuti specifici. Di fatto, però, l’azione del Pd sul territorio non promuove di certo la consultazione. Ad eccezione di qualche singolo come Simonetta Rubinato e, più di recente, Laura Puppato, i dem tendono a non pubblicizzare la consultazione e, anzi, ad attaccare molte delle affermazioni di Zaia, nel tentativo più o meno evidente di limitare l’affluenza alle urne. Del resto l’assemblea regionale ha deciso di appoggiare il Sì, ma il segretario nazionale Matteo Renzi ha tentato di ridicolizzare il referendum definendolo inutile.
Qualche pasticcio, infine, l’hanno fatto anche i Fratelli d’Italia, con la leader nazionale Giorgia Meloni che ha sminuito le consultazioni referendarie di Veneto e Lombardia definendole inutili. Al che, in Veneto, il consigliere regionale Sergio Berlato è corso ai ripari chiarendo che Meloni ha solo detto di non essere appassionata al tema referendario, tanto è vero che ha delegato lui a prendere una posizione. E lui, chiaramente, sostiene il Sì.
La maggior parte delle categorie economiche si è schierata per il Sì, e quelle che non lo hanno fatto, come Confindustria Belluno Dolomiti, invitano comunque i loro iscritti ad andare a votare. Opinione diffusa, supportata dalle ricerche della Cgia di Mestre, è che una maggiore autonomia della Regione porterebbe benefici alle imprese, in particolar modo quelle piccole e medie, determinando un importante aumento del Pil. Non mancano però le eccezioni illustri, come l’imprenditore Luciano Benetton, che ha definito l’autonomia “una stupidaggine”.
Il 22 ottobre per i cittadini della provincia di Belluno il referendum sarà doppio. Si voterà infatti anche per l’autonomia della Provincia, che gode già di una legge che le dovrebbe garantire un maggiore spazio d’azione in virtù delle difficoltà determinate dal territorio montuoso, ma che lamenta la scarsa propensione della Regione ad applicare la norma in questione. Ufficialmente Zaia, che ha atteso il via libera del ministero dell’Interno per indire la consultazione bellunese in election day con il referendum sull’autonomia del Veneto, appoggia entrambe le consultazioni. Idealmente, infatti, la maggiore autonomia della Provincia non è in contrasto con la maggiore autonomia della Regione che, anzi, una volta ottenute maggiori competenze, e risorse, delegherà poi tutto ciò che può agli enti più vicini al territorio.
Di fatto, però, a promuovere il referendum bellunese è il Partito democratico, che amministra la provincia, mentre la Lega Nord di Belluno investe le sue energie nel sostegno alla consultazione regionale. Dal punto di vista organizzativo, del referendum bellunese si sa ancora poco, in quanto le procedure sono ancora in itinere perché sono iniziate solo poco prima dell’estate e ad occuparsene non è la Regione ma la Provincia. Di certo si sa che nei seggi del bellunese le schede referendarie e le urne saranno due, che i cittadini potranno decidere se votare ad entrambe le consultazioni o solo ad una, e che lo spoglio delle schede avverrà solo dopo quello della consultazione regionale.
Il costo dell’intera operazione è fissato in 14 milioni di euro, ma l’assessore al Bilancio Gianluca Forcolin si è lasciato scappare che, probabilmente, alla fine la Regione riuscirà a risparmiare qualcosina. La maggior parte delle risorse se andrà per l’organizzazione dei seggi, dalla stampa e distribuzione delle schede al pagamento delle circa 23 mila persone coinvolte tra commissari, segretari e presidenti di seggio. Per informazione e promozione ufficiale del referendum si spenderanno invece 1,2 milioni di euro.
di Fabrizio Tommasini, giornalista
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