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Medio Oriente, Jabarin (Al-Haq): “Ultimo colpo alla soluzione dei due stati”

"Il problema è che Netanyahu vuole la guerra e non fa nulla per evitarla"

Pubblicato:16-09-2020 12:21
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:53

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ROMA – “Gli ‘Accordi di Abramo’ sono una dichiarazione di guerra: il governo di Benjamin Netanyahu non ha mai lavorato seriamente al dialogo e alla pace con i palestinesi; al contrario in questi anni ha aumentato la morsa dell’occupazione militare, uccidendo, imprigionando e spingendo nella povertà migliaia di palestinesi. Se temo una nuova intifada? Potrebbe accadere di peggio“. Shawan Jabarin è il direttore di Al-Haq (“diritto”, in arabo), ong che dal 1979 si batte per i diritti dei palestinesi.

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Jabarin ha un passato di attivismo politico, riconosciuto da organizzazioni internazionali per i diritti umani. Tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, la giustizia israeliana lo accusò – senza arrivare al processo – di partecipazione nel Fronte per la liberazione della Palestina, ritenuto da Israele una formazione terrorista. Trascorse sei anni in carcere in attesa di giudizio, dopodiché per diversi anni gli è stato impedito di viaggiare all’estero. Il suo fu il primo caso di prigioniero di coscienza tra i palestinesi di cui si occupò Amnesty international.


All’agenzia Dire che lo ha contattato all’indomani della “normalizzazione” dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, promossa dagli Stati Uniti con gli “Accordi di Abramo”, Jabarin dichiara: “Mentre ero in carcere lessi il libro di Netanyahu ‘A place among the Nations’. Era il 1993 e il futuro premier spiegava che l’unica via per Israele per raggiungere i propri interessi era sconfiggere gli arabi e i loro governi. Ai palestinesi sta facendo questo”.

Secondo il direttore di Al-Haq, “è oggettivo che nei Territori stanno aumentando arresti arbitrari, violenze e uccisioni indiscriminate da parte delle forze israeliane, nonché la confisca delle terre e le restrizioni ai diritti economici e civili dei palestinesi”.

Jabarin quindi osserva: “Una ventina di anni fa, quando chiedevamo ai governi europei sostegno per la nostra causa, ci sentivamo rispondere che il modo migliore era che mantenessero le relazioni con Israele e quindi il dialogo come strumento per la pace. Ma questo non ha portato a nessun cambiamento, anzi: la colonizzazione è stata accelerata. Per questo non credo affatto che la normalizzazione dei rapporti con le monarchie del Golfo possa garantire la fine del conflitto”.

Il direttore di Al-Haq continua: “La soluzione dei due Stati è naufragata e la gente non ci crede più. Basta guardare a cosa succede a Gaza dal 2006: il blocco alle importazioni è una morsa per 2 milioni di persone”.

Infine, un cenno al riavvicinamento tra i partiti Hamas e Fatah, seguito alla “normalizzazione”. Alla nuova alleanza si è aggiunto anche il gruppo armato del Palestinian Islamic Jihad. “Per prima cosa non è un’alleanza armata ma politica ed è bene coinvolgere tutti gli attori” commenta Jabarin. “Se in Palestina poi si sono formati gruppi armati è doveroso chiedersi il perché. La gente, quando vive bene, non imbraccia le armi. I movimenti violenti sono effetto dell’occupazione militare di Israele, dei soprusi, del furto della dignità. Il problema è che Netanyahu vuole la guerra e non fa nulla per evitarla“.

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