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Omicidi, stupri e scariche elettriche: i migranti raccontano l’inferno dei lager libici

Le testimonianze dei migranti nell'indagine della procura di Agrigento sull’immigrazione clandestina

Pubblicato:16-09-2019 13:11
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:42
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PALERMO – Bastonate, percosse con i calci dei fucili e i tubi in gomma, ma anche frustate, scariche elettriche e stupri. Queste le torture subite dai migranti nei centri di detenzione in Libia e che sono state raccontate dalle vittime ai magistrati della Procura di Agrigento che, con il coordinamento della Dda di Palermo, hanno fatto scattare tre fermi di cittadini extracomunitari.

I provvedimenti eseguiti dalla squadra mobile agrigentina diretta da Giovanni Minardi, contengono accuse gravi nei confronti dei tre: associazione a delinquere dedita alla gestione di un centro di prigionia illegale in Libia, torture, violenze e minacce.

Tutto ciò “accompagnato – sostengono gli investigatori – dalla mancata fornitura d’acqua” ai migranti che venivano rinchiusi in attesa di imbarcarsi verso le coste siciliane. Vessazioni a cui i migranti erano sottoposti per costringere i loro congiunti al pagamento di somme di denaro per la loro liberazione. Contestati diversi reati: tratta di persone, violenza sessuale, tortura, omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.


I tre fermati sono Mohamed Condè, Hameda Ahmed e Mahmoud Ashuia: il primo arriva dalla Guinea, gli altri due dall’Egitto. Sono stati fermati mentre si trovavano in un centro d’accoglienza di Messina, dove erano stati trasferiti dopo lo sbarco a Lampedusa.

IL RACCONTO DEI TESTIMONI: DONNE VIOLENTATE SISTEMATICAMENTE

“Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiate all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura. Preciso che da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni”. È una delle testimonianze dei migranti rinchiusi nel campo di prigionia di Zawyia, in Libia, che hanno consentito ai pm della Procura di Agrigento di squarciare il velo sugli orrori che avvengono nel paese nordafricano spiccando un provvedimento di fermo nei confronti di due egiziani e un cittadino della Guinea.

“Le condizioni di vita, all’interno di quella struttura, erano inaudite . Ci davano da bere – ancora il testimone – acqua del mare e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza all’interno di quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione. Di fatto avveniva che, i predetti organizzatori ci mettevano a disposizione un telefono col quale dovevamo contattare i nostri familiari per dettare loro le modalità con il quale dovevano pagare le somme di denaro pretese dai nostri sequestratori”.

Il testimone poi prosegue: “Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa 10000 dinari libici. Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi sono sempre rifiutato, Proprio per questo motivo sono stato oggetto di bastonate da parte loro. Preciso che, in occasione di un mio rifiuto, un nigeriano, con il calcio della pistola, dopo che mi ha immobilizzato il pollice della mia mano destra su un tavolo, mi ha colpito violentemente al dito, fratturandolo. Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura ho avuto modo di vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che avevano tentato di scappare”.

Tra le testimonianze anche quella di un migrante che ha raccontato le torture subite nel campo di prigionia illegale: “Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura, a causa delle mie rimostranze contro la mia ingiusta detenzione, sono stato più volte picchiato. Ho subito delle vere e proprie torture che mi hanno lasciato delle cicatrici sul mio corpo. Specifico che sono stato frustato tramite fili elettrici. Altre volte preso a bastonate, anche in testa”.

E ancora: “L’uomo era spregiudicato, in quanto picchiava tutti i prigionieri e li torturava, frustandoli con i cavi elettrici; li bastonava servendosi di tubi in gomma”.

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