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L’ex interprete afghano: “Non fidatevi dei talebani, uccidono tutti”

Fahrad, abitante di Jalalabad, ha collaborato con l'onlus italiana Cospe e con i talebani al potere teme per il suo futuro

Pubblicato:16-08-2021 16:33
Ultimo aggiornamento:16-08-2021 16:33

missione Onu in AFGHAnistan
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ROMA – “A Jalalabad i talebani hanno imposto il coprifuoco, nessuno può lasciare le proprie case. Stanotte hanno visitato alcuni quartieri chiedendo i documenti ai residenti. Il timore è che cerchino coloro che hanno collaborato con le forze Nato o le organizzazioni umanitarie internazionali”. Farhad, un abitante di Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar caduto nelle mani delle milizie estremiste, parla con l’Agenzia Dire della difficile situazione nel Paese. I combattenti sono entrati ieri mattina nella sua città “senza incontrare particolare resistenza”, come scrive l’emittente Al Jazeera, poche ore prima che venisse sciolto il governo, il presidente Ashraf Ghani lasciasse il Paese e i talebani prendessero possesso dei palazzi del potere.


Farhad è un ex interprete che fino al 2017 ha lavorato per l’organizzazione italiana Cospe Onlus, e chiede di usare un nome di fantasia per proteggere la sua famiglia, composta da 15 persone. Il figlio più piccolo ha solo pochi mesi, e da maggio l’uomo non riesce più a lavorare perché “da quando i talebani hanno iniziato le operazioni militari per riprendere il Paese, è diventato molto pericoloso spostarsi“. Ora, la presa della sua città pone un’altra, pesante incognita: i miliziani rispetteranno il “perdono collettivo” promesso, o elimineranno tutti coloro che sono sospettati di aver avuto contatti col ‘nemico’? “Dei talebani non c’è da fidarsi – dice Farhad – perché uccidono tutti, indiscriminatamente. Non danno spiegazioni. La notte scorsa per esempio, hanno chiesto i documenti a tante persone ma non hanno chiarito il motivo”.


Ora però, per Farhad e milioni di altri afghani che temono in queste ore per la propria vita, lasciare il Paese sembra impossibile: “Il Pakistan ha chiuso le frontiere, mentre raggiungere l’Iran o il Tagikistan è troppo rischioso, i talebani sono schierati alle frontiere. Vorrei che Cospe mi aiutasse”, è l’appello dell’uomo. Contattata sempre dall’Agenzia Dire, la Onlus ha confermato di stare ricevendo “tante richieste di aiuto dai nostri ex collaboratori e collaboratrici”, una situazione che stanno affrontando come molte altre organizzazioni internazionali che hanno operato nel Paese.


“Assistiamo con sgomento alla tragedia che si sta consumando in Afghanistan e stiamo cercando di rispondere a tali richieste – continuano i responsabili della onlus – ma in questo momento è praticamente impossibile garantire dei visti di uscita dal Paese attraverso programmi di relocation per richiedenti asilo. Quello che chiediamo con forza oggi alla comunità internazionale e al ministero degli Affari Esteri italiano è l’apertura di corridoi umanitari che permettano un’uscita in sicurezza di attivisti, donne e bambini. Per non lasciare solo il popolo afghano”.


Cospe Onlus ha lavorato in Afghanistan dal 2008 al 2019 sostenendo associazioni locali con progetti sui diritti delle donne e la messa in sicurezza di difensori dei diritti umani, per favorire “un cambiamento in senso democratico”. Queste persone, conclude l’associazione, “già allora erano sotto attacco dei talebani e ora sono estremamente esposte, a rischio di violenza e persecuzioni”.

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