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Calcio, lo psicologo: “A fine stagione niente allenamenti, ma passare il tempo col gruppo”

Aldo Grauso: "La mancanza di routine e di pubblico hanno inibito alcune funzioni nell’organismo dei giocatori e la spinta motivazionale"

Pubblicato:16-07-2020 17:16
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:38
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ROMA – Il campionato di calcio di serie A è completamente diverso rispetto a prima del Covid. I risultati sul campo delle ultime settimane lo dimostrano. Molte squadre non si ritrovano, non si riconoscono, perdono punti e anche lo spettacolo ne risente. Chi non voleva interrompere le partite durante la quarantena ora preferirebbe l’annullamento della stagione. Come intervenire allora per far ritrovare la propria identità alle formazioni?

“Per tornare alla normalità i giocatori devono staccare completamente da ogni attività fisica alla fine del campionato, sapendo anche che la prossima stagione sarà anomala, visto che i gli atleti torneranno in campo dopo solo un mese. Poi si dovrà coltivare il gruppo che si è perso per lungo tempo. Nella componente socio-psicologica è la dinamica di gruppo che è mancata, soprattutto perché il calcio è uno sport di gruppo e questa mancanza ha portato a delle conseguenze”. Lo dichiara alla Dire Aldo Grauso, psicologo dello sport, membro della Commissione medico scientifica della Lega nazionale professionisti B (LNPB) e del Coordinamento sanitario della Lega nazionale dilettanti (LND), in merito allo strano andamento del campionato di calcio di serie A dopo la ripresa della stagione.

Secondo lo psicologo ci sono due spiegazioni per il rendimento deficitario di molte squadre e la prima “è di carattere neuro-psicologico, legata alla mancanza della routine che i giocatori hanno avuto per due mesi. Questa mancanza – spiega – non ha permesso ai circuiti neuronali di attivare delle funzioni ‘simpatiche’ che mettono in moto l’organismo in risposta a una quotidianità indirizzata a un obiettivo, come il ritmo del sonno-veglia controllato, attività di allenamento di gruppo e conduzione di palla. La consuetudine è stata quindi deficitaria. L’altra causa – conclude Grauso – riguarda fattori socio-psicologici e socio-ambientali, come la mancanza di pubblico negli stadi che ha influito sull’abbassamento dell’indice di motivazione degli atleti”.


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