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Emilia-Romagna seconda casa per 11.000 bambini di Chernobyl

Ma a quanto pare non tutti i Comuni sono pronti ad accogliere a braccia aperte

Pubblicato:16-07-2018 16:23
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:23
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BOLOGNA – Il miglior vaccino è l’accoglienza. A sostenerlo è la Regione Emilia-Romagna, che in occasione del “Chernobyl Day 2018“, ha ospitato più di 200 bambini nella sede dell’Assemblea legislativa, a Bologna. Per la prima volta anche i ‘diretti interessati’ hanno partecipato al momento annuale in cui, associazioni di volontariato, amministrazioni comunali e Istituzioni si incontrano per fare il punto della situazione sulla questione dell’accoglienza e integrazione dei ‘bambini di Chernobyl’ nelle realtà del territorio.

Sono ormai 30 anni che il territorio regionale offre soggiorno e assistenza ai bimbi della cittadina bielorussa che nel 1986 fu teatro di un grande disastro nucleare. Da allora “sono stati oltre 11.000 i bambini ospitati in Emilia-Romagna e curati nelle nostre strutture sanitarie”, evidenzia la presidente del Assemblea legislativa regionale Simonetta Saliera. Questa giornata è importante perchè “è doveroso valorizzare la nostra attività, ma soprattutto farla conoscere anche alle altre Regioni. Questo è un vero e proprio atto umanitario che è necessario si conosca e magari possa diventare contagioso”, spiega Saliera. “Sicuramente in questo caso non useremmo alcun tipo di vaccino”, commenta la presidente dell’Assemblea.

La collaborazione con le associazioni di Chernobyl non si esaurisce oggi: nel prossimo autunno, infatti, una delegazione di consiglieri regionali si recherà in Bielorussia per accompagnare una missione istituzionale di associazioni, mentre entro fine anno l’Assemblea legislativa regionale si impegna a realizzare un volume che racconti le attività della Regione e delle associazioni in questi anni al fianco dei “bimbi di Chernobyl”.


Non è tutto oro quello che luccica, però. A sottolinearlo è Sergio Messori, dell’associazione di volontariato Coccinella che dal 1983 opera sul territorio regionale ma anche nazionale. “Nel corso dei nostri 25 anni di attività sono 80.000 i bambini in difficoltà che abbiamo accolto con amore, ma adesso ci troviamo di fronte a un altro tipo di problema”, racconta Messori spiegando che inevitabilmente i ‘bambini di una volta’ adesso sono cresciuti, e sono diventati adulti. Quindi “ci sono nuovi problemi sociali da fronteggiare- continua Messori- perchè questi ragazzi oggi sono maggiorenni e si trovano ad affrontare la vita senza avere un’adeguata preparazione sia materiale che psicologica“. Questo, secondo il volontario, “comporta delle situazioni che spesso vanno a sfociare in episodi molto gravi, perchè ragazzi senza ‘una guida’ prendono strade sbagliate”.

È per questo che “le famiglie che una volta hanno ospitato un bambino oggi non possono esimersi da aiutarlo nella sua crescita”, e questa “è la sfida su cui si dovrà lavorare tutti insieme nei prossimi anni”, conclude Messori. Un problema riscontrato anche da Miriam Tucci di Anpas, la quale però spiega che “ancora dopo tanti anni c’è troppo silenzio” e che oggi “stiamo vivendo in un momento di egoismo totale, dove le persone muoiono e nessuno se ne fa carico”, riferendosi alla questione migratoria. Quindi Tucci lancia un appello: “Parliamone. L’uomo è l’unico animale capace di auto distruggersi e lo stiamo facendo adesso. Vorrei che domani non ci fossero più bambini bielorussi che debbano venire in Italia, o che da nessuna parte del mondo abbiano bisogno del nostro aiuto perchè questo vorrebbe dire che finalmente la civiltà sarebbe arrivata ovunque”.

J’ACCUSE DEL SINDACO DI SALA BOLOGNESE: ALCUNI COMUNI LATITANO

Terre d’Acqua? Un’Unione non così tanto unita. Anche perchè “a qualcuno piace far finta di niente?”, si domanda Paola Fanin, assessore alle Politiche sociali e alla Sanità di Sala Bolognese, a margine del “Chernobyl Day” oggi in Regione a Bologna. E’ proprio in occasione della giornata per celebrare l’operato della Regione Emilia-Romagna in fatto di accoglienza e integrazione dei bimbi della città teatro del grande disastro nucleare che Sala Bolognese, uno dei Comuni dell’unione “Terre d’acqua” che comprende Anzola dell’Emilia, Calderara di Reno, San Giovanni in Persiceto, Crevalcore, Sala Bolognese, Sant’Agata Bolognese, alza la voce verso i propri ‘associati’.

Tutto è partito da Ivan, professore bielorusso che da 14 anni viene in Italia per favorire lo scambio culturale e l’integrazione dei bambini delle zone di Chernobyl, località tristemente conosciuta dal 1986. “Noi adesso andiamo soltanto a Sala Bolognese, e ci troviamo benissimo- racconta Ivan- ma prima eravamo molti di più e anche Calderara di Reno, San Giovanni in Persiceto e Crevalcore ci accoglievano”. Un’accoglienza che, pare, non esiste più da alcuni anni. Il motivo? “San Giovanni in Persiceto ci ha fatto sapere di non avere più spazi adeguati dopo il terremoto del 2012, ma secondo me quello che manca in realtà è la voglia”, spiega Fanin. Accogliere significa “avere una grande forza e crederci, perchè oltre agli spazi fisici quello che fa la differenza è l’attività di volontariato”, continua l’assessore. In realtà però le motivazioni date dai Comuni del territorio non sono molto convincenti per l’amministrazione di Sala Bolognese. Infatti “San Giovanni è un paese grande, ha tantissimi spazi vuoti. Non sarà che forse non si voleva dare continuità alla cosa?”, si chiede Fanin spiegando che gli assessori Welfare del consorzio “Terre d’Acqua” si ritrovano abitualmente ogni 15 giorni per decidere in merito alle questioni di interesse comune (ora dovranno presentare alla Regione il piano triennale, ndr) e quindi “qualcuno mi dica perchè alcune rappresentanze non si presentano mai al momento di discutere”, chiede con disappunto Fanin. “Gli va bene qualsiasi cosa che si decide, oppure vogliono stare per i fatti propri?”, continua Fanin sospettando che le altre amministrazioni vogliano più indipendenza.

Secondo l’assessore alla Famiglia infatti “la logica predominante adesso è quella del ‘quello che è mio è mio e tutto il resto non conta’”, e “si sta ritornando a una mentalità di comunità singola che non pensa al bene comune, una cosa che fanno solo i bambini dell’asilo“. I dubbi sono quindi su tutte le decisioni dell’Unione Terre d’Acqua: “Dobbiamo prendere delle decisioni comuni per gestire soldi che ci vengono dati dallo Stato e dalla Regione, ma se le persone continuano a non presentarsi come possiamo fare?”, si domanda Fanin.

di Sara Forni

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