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Mayada Adil: “La moda africana non è più in esilio”

Parla alla Dire da Parigi la fondatrice sudanese dell'Atelier des artistes en exile

Pubblicato:16-06-2020 17:53
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:30

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ROMA – Sulle radiografie al torace, che possono rivelare polmoniti interstiziali, oggi ci sono pennellate di bianco e di blu. Sono i colori della resistenza, della gioia e del lutto indossati dalle donne del Sudan. “Dopo i giorni di quarantena torno a lavorare a una collezione panafricana” sospira in collegamento video Mayada Adil, piercing e sorriso da regina, come la sua Nubian Queen, l’eroina-icona Amanishakheto in “thobe” bianco, che nel 21 avanti Cristo costrinse a un trattato di pace l’imperatore Augusto.

mayada adilVentisei anni, nata a Khartoum ma cresciuta in Arabia Saudita e spinta di nuovo a scappare dal Sudan dopo essere stata aggredita da un poliziotto pochi giorni prima che nel Paese dilagasse la rivolta, è ginecologa, modella e stilista. Oggi il suo Paese di origine sta cambiando, dopo le proteste per il pane, gli spari ad alzo zero sui dimostranti e infine il presidio popolare di fronte al quartier generale dell’esercito che ha obbligato il presidente-generale Omar Hassan Al-Bashir a lasciare dopo 30 anni al potere.

Con l’agenzia ‘Dire’, Adil parla da Parigi, dove è rifugiata politica dal 2018. “Al commissariato sapevano già tutto di me, ho avuto paura” ricorda di quel pomeriggio, con la decisione di sporgere denuncia e poi la partenza con il cuore che batte forte e il timore di essere fermata di nuovo all’aeroporto. Prima che si aprisse una pagina nuova, in Francia, aveva anche lavorato nei campi dei profughi sud-sudanesi insieme con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Anche per questo oggi parla con speranza della riforma della Legge 141, approvata su impulso del governo di transizione composto da militari e civili nato dalla rivoluzione e guidato dall’economista Abdalla Hamdok. Le nuove norme prevedono fino a tre anni di carcere per chi pratichi o favorisca le mutilazioni genitali femminili. Secondo Adil, “si tratta di una vittoria per tutte le donne e per le nuove generazioni” anche se “le associazioni e i gruppi femministi che si battono per la tutela dei diritti riproduttivi e della salute devono ora continuare il lavoro per sradicare l’ignoranza e lo stigma nelle società sudanesi”.


A Parigi, sempre più, l’orizzonte è internazionale. Adil frequenta un master su diritti umani e azione umanitaria all’università Sciences Po ed è animatrice dell’Atelier des artistes en exil, un laboratorio di moda e creatività al quale hanno già dedicato pagine e servizi testate come ‘France24’ e ‘Jeune Afrique’.

“Il prossimo progetto, con il designer di moda ciadiano Brahim Djibrine e l’artista somala Zahrah, si chiama ‘Intersectional Fashion Cultures'” anticipa la stilista: “Con i gioielli d’artigianato, modelli non professionisti, il raso, il cotone e la lana, lavoriamo con i colori delle tribù che vivono al di qua e al di là delle frontiere del Sudan, mostrando l’Africa senza confini”.

L’Atelier si propone come viaggio tra le culture, sotto il segno della sostenibilità. “Sia sul piano ambientale con il riciclo dei tessuti che sul piano sociale” sottolinea Adil: “Cerchiamo modelli tra i rifugiati, non vogliamo professionisti; e stiamo organizzando workshop di slow fashion, per una moda africana e internazionale che impieghi solo fibre ecologiche e rispetti i diritti umani”.

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