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L’incognita dei bilanci e la tenuta del patrimonio, il futuro di Ama è in mano al Campidoglio

Per la municipalizzata che si occupa dei tifiuti della Capitale è decisiva la partita sulla riconciliazione dei crediti tra Campidoglio e Ama

Pubblicato:16-06-2020 14:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:30

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ROMA – Tornano ad addensarsi all’orizzonte le nubi sul futuro di Ama e si aggira lo spettro del rischio liquidazione. La municipalizzata capitolina dei rifiuti continua a navigare a vista, con l’ultimo bilancio approvato risalente al 2016. Virginia Raggi si era appena insediata in Campidoglio, ora manca un anno alla fine del suo mandato ma ancora nessuno dei suoi ‘delegati’ si è presentato in assemblea dei soci dell’azienda di via Calderon de La Barca per approvare almeno il bilancio 2017. Sono passati 4 anni, due cda (uno rimosso e un altro che si è dimesso), un amministratore pro tempore (il presidente del collegio sindacale) e due amministratori unici. L’ultimo dei quali, Stefano Zaghis, a febbraio ha consegnato al Campidoglio il quarto progetto di bilancio 2017 (i primi due erano stati opera del cda guidato da Lorenzo Bagnacani e il terzo da quello presieduto da Luisa Melara) ma da quel momento è caduto il silenzio e, come già accaduto in passato, da Palazzo Senatorio e’ stato chiesto alla partecipata un rinvio della convocazione dell’assemblea che in primavera avrebbe dovuto vedere il via libera al tanto sospirato bilancio.

L’emergenza Coronavirus e l’indagine della Procura di Roma sull’ipotizzato uso improprio da parte di Ama della Tari dal 2013 e almeno fino al 2016 non ha certo aiutato a velocizzare i tempi. Sta di fatto però che l’ultima rappresentazione dello stato di salute dell’azienda (in particolare verso i suoi creditori, banche e fornitori) è troppo risalente nel tempo. Così il Collegio sindacale poche settimane fa (e non per la prima volta) ha chiesto a Zaghis un aggiornamento della situazione finanziaria e di quella patrimoniale al 2020 per verificare se ci siano i presupposti per la continuità aziendale. La prima risposta è arrivata nel breve volgere di qualche giorno ed è stata positiva: Ama e’ in grado di rispettare i propri impegni verso i suoi creditori fino al 30 dicembre 2021. Una data non casuale, perché il giorno dopo scadrà il termine entro il quale la società dovrà rimborsare alle banche la maxi rata finale da 120 milioni di euro del mutuo sottoscritto con le banche nel 2009.

Ma questa non è l’unica spada di Damocle che pende sulla testa della municipalizzata. Infatti, l’aggiornamento dello stato patrimoniale non è ancora arrivato. L’amministratore unico ha tempo fino ai primi di luglio ma secondo quanto apprende l’agenzia Dire avrebbe intenzione di fornirlo prima. Si tratta di un documento molto importante perché la fotografia del patrimonio che sarà scattata farà capire il futuro che attenderà l’azienda. La garanzia della continuità finanziaria fino al 30 dicembre 2021 scongiura la possibilità di un eventuale ricorso a procedure concorsuali ma se il patrimonio di Ama (attualmente pari a circa 285 milioni, di cui 182 di capitale sociale) dovesse svalutarsi fino ad azzerarsi si aprirebbero le porte della messa in liquidazione, come previsto dal codice civile in assenza di una ricapitalizzazione. E solo Roma Capitale può scongiurare questo potenziale epilogo.
Ama vanta centinaia di milioni di euro di crediti più o meno storici verso la sua controllante, fonti qualificate parlano di circa 600 milioni. Circa 160 sono riferibili alla gestione del debito storico di Roma, di cui lo Stato si è fatto carico di una parte (1,4 miliardi su 12), tutti gli altri rientrano in una grande partita di riconciliazioni e quindi di verifica se siano effettivamente dovuti da Roma Capitale o meno, sulla falsariga di quanto da due anni sta accadendo sui 18 milioni di euro per i servizi cimiteriali resi dalla municipalizzata.


Mettere un punto su questa vicenda sarà fondamentale per Ama non solo per dare una corretta rappresentazione al Collegio sindacale sulla solidità o meno del suo patrimonio ma soprattutto per capire se la barca potrà continuare a reggere, in attesa dell’approvazione dei bilanci, oppure no. Con una memoria dello scorso 4 giugno firmata dall’assessore al Bilancio e alle Partecipate, Gianni Lemmetti, la Giunta ha dato mandato “a tutte le strutture di Roma Capitale che hanno rapporti creditori e debitori in essere con organismi partecipati da Roma Capitale a procedere alla riconciliazione straordinaria di tutte le partite in essere alla data del 30 aprile 2020, ivi incluse le posizioni che sono riconducibili alla gestione commissariale – da effettuarsi in contraddittorio con la società partecipata – e a concludere l’attività entro il 31 luglio mediante l’adozione di una determinazione dirigenziale di ricognizione”.

In più, le stesse strutture dovranno “concludere, con ogni consentita urgenza, i procedimenti iscritti tra i residui di bilancio, dando priorità ai residui passivi, e, comunque, salvo specifici indirizzi riferiti ad organismi partecipati che saranno indicati, in ogni caso: entro il 31 luglio 2020, i procedimenti riferiti a residui con origine in annualità antecedenti al 2010; entro il termine del 30 settembre 2020 i procedimenti riferiti a residui con origine in annualità antecedenti al 2015; entro il termine del 30 novembre 2020 i procedimenti riferiti a residui con origine in annualità antecedenti al 2020”.

Insomma, tempi brevi per alcune fattispecie ma non per altre, che invece sfiorano la fine dell’anno. L’Ama, dal canto suo, ha bisogno di certezze perché il prossimo futuro e’ fatto di bilanci che chiuderanno in perdita. Almeno due. Il progetto del documento 2017 parla di una chiusura di esercizio che segna -99,5 milioni e per il 2018 il rosso ipotizzato non sembra essere inferiore ai 50 milioni di euro, visto che in quel bilancio sarà contabilizzata anche la perdita del Tmb Salario andato distrutto nell’incendio del dicembre 2018.

Queste chiusure negative farebbero scendere il patrimonio netto a circa 137 milioni di euro, alle quali andrebbero aggiunte altre penali del contenzioso col Cns da inserire nel bilancio 2018 e soprattutto i 90 milioni che Ama rischia di dovere pagare al Colari per il lodo sulla post gestione della discarica di Malagrotta: la Corte Europea, con una recente sentenza inviata alla Cassazione (che l’aveva tirata in ballo sul punto), ha sostanzialmente accolto le posizioni del Consorzio attualmente in amministrazione giudiziaria dopo le inchieste della Procura di Roma che ancora vedono coinvolto Manlio Cerroni.

In teoria, su gran parte di questi 90 milioni (poco meno di 80 milioni) Marco Causi, allora assessore al Bilancio della giunta Veltroni nei primi anni 2000, aveva scritto una lettera di manleva con la quale il Campidoglio si faceva carico di questa cifra. Tuttavia, l’attuale amministrazione capitolina non sarebbe convinta dell’effettiva praticabilità di questa strada. Se la sentenza della Cassazione condannasse Ama e l’azienda dovesse farsi carico dell’intero importo, il suo capitale sociale registrerebbe una perdita superiore a un terzo (ma senza intaccare il minimo legale), circostanza per cui l’amministratore dovrebbe predisporre una relazione sulla stato economico e patrimoniale della società e convocare un’assemblea, ordinaria o straordinaria, a seconda delle decisioni che riterrà opportuno adottare.

Comunque, una situazione al limite della tenuta del patrimonio e per questo e’ decisiva la partita sulla riconciliazione dei crediti tra Campidoglio e Ama. Le parti si stanno incontrando, anche con la consapevolezza che in caso di azzeramento del patrimonio e senza certezze sui ‘soldi del passato’ dovuti alla municipalizzata il bivio davanti al quale ci si troverebbe porterebbe da una parte alla ricapitalizzazione da parte del Comune (musica poco gradita a Palazzo Senatorio) o dall’altra alla messa in stato di liquidazione.

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