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Minori e violenza assistita, Anatra: “Si può trattare con i racconti ma la scuola non è pronta”

La scrittrice, insegnante e presidente dell'Associazione Womentobe ne ha parlato all'agenzia Dire

Pubblicato:16-05-2022 18:19
Ultimo aggiornamento:16-05-2022 18:19
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di Laura Monti

ROMA – “Dare parole al dolore”: è questo l’obiettivo di Maria Grazia Anatra, scrittrice, insegnante e presidente dell’Associazione Womentobe, che dal 2016 descrive la violenza assistita in modo inedito, rivolgendosi direttamente agli interessati, i bambini e le bambine che ne sono vittime.
“Rispetto alla violenza sulle donne, quella assistita in casa dai minorenni è moltiplicata, perché non possono in alcun modo reagire, subiscono e basta. La violenza assistita lascia ferite che rimangono per tutta la vita”, ha detto Anatra alla Dire.

Dunque come spiegare il fenomeno ai bambini, che non hanno gli strumenti per affrontare quello che vedono in casa? E come farli sentire sicuri al punto di raccontare? La dottoressa Anatra, che ha scritto molti libri per bambini, prova a farlo con un approccio narrativo: “Ai bambini non si possono spiegare queste cose in forma teorica, serve un linguaggio che possano comprendere”. Da qui l’idea di scrivere delle storie, che propongano vissuti quotidiani, facilmente comprensibili ai bambini in cui in modo delicato ma chiaro, vengono rappresentati fatti e accaduti di violenza domestica. La narrazione, infatti, “propone una distanza di sicurezza per chi ascolta, ma al tempo stesso, per chi è coinvolto in tali traumi, innesca meccanismi di immedesimazione e di possibile apertura alle… parole per dirlo e dunque ad una possibile presa in cura del minore”, ha precisato l’autrice.

“Ovviamente non faccio tutto da sola. Ho studiato molto sui libri il fenomeno della violenza assistita e mi faccio supportare dal personale specialistico: collaboro con psicologi, psicoterapeuti ed esperti. Ognuno porta la propria competenza ed esperienza”. Proprio l’approccio multiprospettico, infatti, è la chiave che permette di comprendere a pieno il fenomeno e che sta alla base dell’ultimo volume scritto da Anatra insieme agli psicologi e psicoterapeuti Iacopo Bertacchi e Silvia Mammini e pubblicato dalla Casa editrice Erickson ‘Violenza assistita e percorsi di aiuto per l’infanzia’.

Nel libro, sono presenti diversi contributi scientifici su come trattare la violenza assistita, tra cui anche l’approccio narrativo. Insieme al volume, poi, si trova ‘La stanza dei delfini’, il racconto scritto da Maria Grazia Anatra, corredato in modo strutturato da schede, utili nel setting clinico e/o educativo. “Nel mio racconto la stanza è un luogo fisico, pitturato con pesci e delfini. È lì che una maestra, co-protagonista della storia, porta tutti i suoi alunni, dopo essersi accorta che uno di loro ha qualcosa che non va. La stanza è un luogo dove ognuno può dare liberamente voce alle proprie paure: il bambino disegna la sua mamma accovacciata, così la maestra lo fa parlare con uno psicologo e infine sarà proprio lui, il bambino, a prendere per mano la mamma e a dirle ‘Non siamo soli'”.

La stanza della storia, ha spiegato Anatra, è una metafora per “un luogo della mente aperto, che chi vive quel genere di situazioni dovrebbe sempre avere a disposizione”. E perché ambientare il racconto proprio a scuola? “Non è casuale”, ha risposto l’autrice. La scuola, infatti, è spesso un luogo in cui i bambini e le bambine manifestano la loro angoscia, ma non sempre trovano una risposta capace di leggere il loro disagio. “In Italia quando si tocca la famiglia, si trova troppo spesso molta resistenza. A scuola si sente spesso dire che ‘Noi non siamo assistenti sociali’ e io stessa, quando proposi a una dirigente scolastica di leggere un mio testo in classe, mi sono sentita rispondere ‘È bellissimo, ma non siamo ancora pronti'”, ha detto l’autrice.

Eppure, proprio la scuola avrebbe un grande potenziale per far emergere situazioni di violenza domestica e la stessa esperienza della dottoressa Anatra lo può dimostrare: “Ricordo che nel 2021 lessi un mio racconto in una quarta elementare di Bologna, ‘La bambina che aveva parole’. Alla fine un bambino si alzò e disse ‘Allora anch’io devo fare come la bambina della storia’. Le maestre non se lo sarebbero mai aspettato”.

Parlare di violenza assistita e farlo con un linguaggio che i bambini possano comprendere, è quindi possibile e doveroso, anche a scuola. “Per far sì che i bambini si salvino da queste situazioni tragiche, devono sapere queste cose”, ha concluso.


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