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Oltre 33mila morti causate dall’antibiotico resistenza. Numeri da guerra

Luisa Galli (Sip): "Nonostante il lockdown nel 2020 in Italia sono stati somministrati farmaci al 26% degli under 13. Attenti agli errori"

Pubblicato:16-05-2022 17:31
Ultimo aggiornamento:16-05-2022 17:31

antibiotico resistenza
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ROMA – “Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha stimato che nel 2020 oltre 600mila persone abbiano avuto delle infezioni gravi correlate a batteri multiresistenti e che ci siano stati oltre 33mila morti. Sono numeri da guerra”. Luisa Galli, segretario del Gruppo di studio Farmacologia della Società italiana di pediatria (Sip), professore associato di Pediatria presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’ Università di Firenze e direttore della Struttura dipartimentale complessa di Malattie infettive pediatriche dell’ospedale pediatrico Meyer, parte da qui per introdurre il tema dell’antibiotico-resistenza, argomento che affronterà nel corso del 77° Congresso italiano di pediatria in programma a Sorrento dal 18 al 21 maggio. “Le stime ci dicono anche che il 2020 è stato un anno particolare- continua Galli- perché a causa del lockdown e della ridotta socializzazione c’è stata una minore diffusione delle infezioni, dunque abbiamo usato meno antibiotici in tutte le fasce d’età, inclusa quella pediatrica. I numeri pertanto, per quanto alti, sono sottostimati”.

MENO ARMI PER COMBATTERE LE INFEZIONI

In questo contesto l’Italia “non si posiziona bene- continua l’esperta- siamo veramente malmessi sia come utilizzo di antibiotici che come resistenze ai batteri. Il triste primato riguarda alcuni batteri come ad esempio le Klebsielle multiresistenti e gli Stafilococchi resistenti alla meticillina. Inoltre sono diffusi gli Escherichia coli produttori di beta-lattamasi a spettro esteso, che grazie alla produzione di questi enzimi vanificano l’utilizzo di tutti i beta-lattamici, tra gli antibiotici più utilizzati, specie in età pediatrica”. Il problema “è che abbiamo tanti antibiotici a disposizione ma poi ce ne restano pochi da poter utilizzare- spiega Galli- e quindi abbiamo sempre meno armi per combattere le infezioni. Sicuramente- dice- vengono messe a punto nuove molecole antibiotiche ma talora non sono sufficienti a bypassare l’insorgenza delle resistenze e, soprattutto, alcuni ‘nuovi’ antibiotici non sono ancora autorizzati per l’età pediatrica. Questo porta a un aumento delle ospedalizzazioni, delle degenze e dei decessi dovuti proprio all’antibiotico resistenza”.

LA SITUAZIONE IN ETÀ PEDIATRICA

Un quadro in cui la pediatria gioca un ruolo importante. “Tutti i dati ci dicono che gli antibiotici vengono prescritti maggiormente nelle età più estreme, quindi ai bambini e agli anziani– continua Galli- per quanto riguarda l’età pediatrica sappiamo che nel momento della socializzazione, ossia dai 2 ai 6 anni, quando si inizia a fare vita di comunità, i bambini vanno incontro a infezioni respiratorie ricorrenti che sono fisiologiche, molte virali. Ciononostante vengono prescritti antibiotici, cosa che non andrebbe fatta o comunque, per quanto riguarda ad esempio faringo-tonsilliti, otiti, e altre infezioni delle alte vie aeree andrebbe fatta seguendo le linee guida nazionali e internazionali, scegliendo antibiotici a spettro ristretto. Ma i numeri dicono altro, basti pensare che nel 2019 al 40% della popolazione pediatrica sotto i 13 anni è stato prescritto un antibiotico, percentuale che è scesa al 26% nel 2020 proprio perché i bambini hanno avuto meno opportunità di socializzazione e quindi hanno avuto meno infezioni respiratorie”.


“Se pensiamo ad esempio alla classe di antibiotici dei macrolidi, largamente utilizzata in ambito pediatrico, vediamo come sia stata gravata da una grossa percentuale di batteri multiresistenti. Molecole come l’azitromicina, comoda per i bambini perché prevede una sola dose al giorno per 3 giorni, o la claritromicina, molto ben tollerata, sono dei buoni antibiotici ma il loro abuso ha fatto sì che un’alta proporzione di batteri capsulati Gram-positivi (streptococchi, stafilococchi e pneumococchi) siano diventati largamente resistenti a questa classe di antibiotici. Lo dicono bene i numeri: in Italia tra il 2010 e il 2020 oltre il 40% di batteri capsulati Gram-positivi si sono rivelati resistenti ai macrolidi”, sottolinea la pediatra. Fortunatamente, il diminuito utilizzo dei macrolidi ha fatto scendere la percentuale dei batteri Gram-positivi resistenti ai macrolidi, dimostrando ancora una volta che diminuendo l’abuso di alcuni antibiotici, diminuiscono anche le resistenze.

ANCHE IL SOTTODOSAGGIO INDUCE LE RESISTENZE

La strada per il futuro? “Fare un uso più oculato degli antibiotici ed evitare gli errori più comuni- dice Galli- sia da parte dei medici sia da parte delle famiglie. Innanzitutto è fondamentale prescrivere il farmaco solo quando serve. I genitori dal canto loro devono evitare di utilizzare l’antibiotico che hanno nel cassetto appena il bambino presenta un po’ di febbre perché magari hanno paura che possa esserci una complicanza o si vuole che il malanno si risolva presto. Se le infezioni sono virali e non batteriche bisogna dare loro il tempo di regredire”. Poi è importante dare la molecola giusta. “In Italia, per esempio, abbiamo sempre fatto troppo uso dell’amoxicillina protetta, quindi coniugata con l’acido clavulanico. Ma le linee guida ci dicono che nel caso della faringotonsillite, il batterio è lo streptococco, l’amoxicillina da sola funziona benissimo, senza bisogno dell’acido clavulanico”, precisa Galli. Così come è importante il dosaggio che non deve essere né troppo alto e né troppo basso. “Anche il sottodosaggio induce le resistenze– spiega Galli- I genitori, per esempio, a volte hanno difficoltà a dare il farmaco 3 volte al giorno e allora lo somministrano solo 2 volte ma dare meno farmaco di quello prescritto fa sì che nel frattempo il batterio si riproduce e questo alla fine favorisce il fallimento terapeutico e l’insorgenza delle antibioticoresistenze”. Infine la durata. “Sappiamo che certe infezioni non vanno trattate troppo a lungo e quindi è inutile continuare con l’antibiotico per 7-10 giorni di terapia se ne bastano 5”.

L’IMPORTANZA DEI VACCINI

Tutto questo vuol dire “che va fatta formazione sia ai pediatri sia ai genitori, con metodologie diverse. Tra i medici bisogna diffondere le conoscenze delle linee guida perché danno consapevolezza e sicurezza. Il problema- osserva Galli- è che noi medici a volte possiamo avere degli atteggiamenti di medicina difensiva, sappiamo infatti che la classe medica in Italia è stata spesso bersaglio di denunce e rivendicazioni e quindi un atteggiamento difensivo fa sì che si prescriva l’antibiotico una volta di più rispetto a quello che serve. Ma se abbiamo la tutela di aver fatto quello che le linee guida raccomandano, siamo sicuramente più tranquilli. Da parte della famiglia, invece, è importante fidarsi di quello che dice il pediatra, avere pazienza e aspettare che l’infezione passi, con i suoi tempi”. Nella lotta all’antibiotico-resistenza c’è poi l’importante ruolo svolto dai vaccini. “Lo abbiamo visto chiaramente con lo pneumococco- ricorda Galli- sappiamo che è l’agente causale di molte delle infezioni delle vie aeree, sia alte che basse, ed è sempre stato il principale agente eziologico delle polmoniti in età pediatrica. Ma da quando esistono i vaccini, e in particolare da quando c’è stato il passaggio dall’eptavalente al vaccino contro 13 sierotipi, si è chiaramente assistito alla diminuzione delle infezioni, specie quelle gravi e invasive, causate da sierotipi di pneumococchi con ridotta suscettibilità a più classi di antibiotici. E poi- conclude l’esperta- c’è l’azione indiretta dei vaccini che limitando il diffondersi delle infezioni batteriche diminuiscono il consumo degli antibiotici”.

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