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VIDEO | Con don Tarcisio a Ilembula: “I figli sono per sempre”

Il centro che accoglie bambini con disabilità fa parte del progetto inaugurato nel 2011 dall’ong italiana Comunità solidali nel mondo insieme con la diocesi di Njombe e il governo della Tanzania

Pubblicato:16-05-2022 09:31
Ultimo aggiornamento:16-05-2022 09:56

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(Foto di Marco Palombi)

ILEMBULA (TANZANIA) – “C’è sempre qualcuno che aiuta a spingere la carrozzina del compagno” sorride Rosemary, indicando tre bambini alle prese con un gradino. Quando la ruota si sblocca scoppiano a ridere: “Asante”, grazie, dice qualcuno. Scene quotidiane nel villaggio di Ilembula, accanto alla scuola elementare, nel centro che accoglie bambini con disabilità. È lì che lavora Rosemary, abbandonata dal marito, ora insegnante di sostegno anche per Jemima, la più piccola delle sue tre figlie. “Mi occupo di lei e di altri 70 bambini, che seguo prima e dopo le lezioni del mattino curate da un maestro della scuola” spiega percorrendo il sentiero che dal centro porta all’ostello. All’interno ci sono letti in fila, appena rifatti e con le lenzuola ripiegate. “I ragazzi dormono qui, mangiano in sala mensa e due volte la settimana ricevono le visite degli operatori dell’ospedale per la riabilitazione Inuka” riprende Rosemary: “Arrivano il martedì e il sabato dal villaggio di Wanging’ombe, a pochi chilometri da qui”.

Il riferimento è a un progetto inaugurato nel 2011 dall’ong italiana Comunità solidali nel mondo insieme con la diocesi di Njombe e il governo della Tanzania. Tra i fondatori c’è don Tarcisio Moreschi, sacerdote “fidei donum” originario della Val Camonica, 74 anni, oltre mezzo secolo di vita in Africa, in Tanzania dal 1993. È anche lui che ci accompagna nel centro presentandoci a insegnanti e operatori, come Faraja, arrivata dall’ospedale Inuka per accertarsi che i ragazzi continuino a svolgere gli esercizi di riabilitazione e a fare progressi. “Ci prendiamo carico anche di bambini colpiti da paralisi cerebrale o che comunque hanno bisogno di recuperare o acquisire autonomie funzionali” sottolinea il missionario: “Spesso erano stati abbandonati dal padre o da entrambi i genitori e affidati a una nonna; a volte erano denutriti, in qualche caso gli era vietato di uscire di casa”.


Don Tarcisio li aiuta. Anche per questo, “per avere dedicato la vita alla cura, tutela e istruzione di bambini orfani e con disabilità”, nel 2020 è diventato commendatore della Repubblica. Ora, da parroco di Ilembula, fa portare nel centro legna per la cucina e acqua per bere e per l’igiene personale. Tra gli altri impegni ci sono lo stipendio per Rosemary e l’organizzazione delle visite degli operatori di Inuka.
Nel centro ci sono anche bambini con la pelle più chiara degli altri, affetti da albinismo, una condizione genetica che non comporta alcun tipo di disabilità ma mette a rischio a causa di pregiudizi e discriminazioni. Ce ne parla anche Michelangelo Chiurchiù, presidente di Comunità solidali nel mondo, già responsabile alla Comunità di Capodarco di Roma prima dell’amicizia con don Tarcisio e la Tanzania. “Questo” dice, “è solo un primo intervento, per farli almeno stare insieme, ben sapendo che avrebbero tutto il diritto di vivere nei loro villaggi, accuditi e fatti crescere dalla comunità contro ogni forma di stigma o discriminazione”.

A incoraggiare è la risposta dei bambini, che nel centro si sostengono a vicenda. Don Tarcisio parla di “ujamaa”, un concetto swahili che pone al centro la comunità, tradotto anche come “socialismo africano”. “Credo che la parola piu’ giusta sia solidarietà” sottolinea il missionario. “È entrata nei cuori della gente, almeno in certe situazioni, come nell’aiuto dopo lutti o disgrazie; in altre, come di fronte alle malattie e alle difficoltà nel fare studiare i figli, è ancora seme che deve germogliare”.

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