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Panel alla Dire, raccontare la guerra al tempo delle fake news

Il direttore Perrone: "Il lavoro dei cronisti oggi è più complesso"

Pubblicato:16-05-2018 15:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:54

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ROMA – Le guerre di oggi sono duplici: “A quella reale, sul campo, se ne affianca sempre un’altra che si combatte sui media, piu’ globale e immediata”. E oggi, con l’affermarsi di internet e delle nuove tecnologie, che facilitano la circolazione anche di foto e immagini false, “come raccontare i conflitti, restando aderenti alla realta’ e credibili al contempo? Complessa la sfida che si profila per i media”. Questo il punto intorno al quale si e’ articolato un panel all’agenzia ‘Dire’ dal titolo ‘Guerra – In Siria e in altri Paesi si combatte anche con le immagini’, e introdotto da direttore Nicola Perrone. Un esempio giunge dalla guerra in Siria con le accuse rispetto a un bombardamento con armi chimiche su Douma. All’indomani della notizia, il fatto “e’ stato confermato e smentito da piu’ parti”, anche al di la’ delle “versioni ufficiali” dei governi o della cosiddetta “comunita’ internazionale”, ha sottolineato il moderatore dell’incontro, il giornalista della ‘Dire’ Vincenzo Giardina.

A garantire la credibilita’ delle notizie “Non e’ certo l’aderenza alla realta’, ma chi la ripropone e la fa sua, gli ambienti in cui circola, a prescindere da quanto siano realmente qualificati a esprimersi”, dice Fouad Roueiha, giornalista ed esperto di Medio Oriente. D’accordo sul punto Donatella Della Ratta, docente di comunicazione alla John Cabot University ed esperta di mass media arabi. “L’opposizione verita’-falsita’ non e’ piu’ adatta a codificare le immagini che ci arrivano dalla Siria, o da altri teatri di guerra: oggi si e’ imposta la categoria dell’affettivita’. E’ su questo – il ranking affettivo – che lavorano gli algoritmi dei social network – osserva Della Ratta -. Indispensabile quindi conoscere la tecnologia. Uno dei problemi e’ che, ad oggi, nessuno sa come funziona l’algoritmo di Facebook, perche’ l’azienda lo vieta”.

Un modo per valutare le notizie chiama quindi in causa la tecnologia, soprattutto quando circolano sui social network: “Bisogna capire chi e’ che ne parla“, spiega Renato Gabriele, esperto di tecnologia dell’informazione e fondatore di Oohm – Observatory of online harassment and Media Manipulation. “Foto, video, audio possono essere ricreati da intelligenze artificiali con grande precisione. Gli strumenti di ‘propaganda computazionale’ sono troppo sofisticati e ricevono imponenti finanziamenti, a fronte di tecnologie spesso relativamente economiche. Gia’ dieci anni fa, ad esempio, la Russia spendeva in disinformazione la stessa cifra che oggi spende l’intelligence statunitense”.


Il caso della Russia e’ citato anche da Jean-Pierre Darnis, responsabile del programma Tech-Rel presso l’Istituto Affari Internazionali (Iai). L’intervento di Darnis e’ volto a suggerire una via d’uscita alle trappole delle fake news: gli investimenti nel settore. “Mentre negli ultimi anni i Paesi occidentali hanno ridotto i finanziamenti pubblici ai media, precarizzando il settore e causando il taglio delle redazioni all’estero, la Russia ha fatto l’opposto. L’influenza che oggi esercita sui media mondiali dimostra che e’ la scelta migliore”. Secondo Roueiha, le trappole delle fake news si evitano anche “contattando piu’ fonti possibili sul campo, per confermare una stessa notizia, nonche’ padroneggiando la lingua e la storia di quel Paese”. Quindi investendo in formazione dell’individuo. A chiudere l’incontro, un’ultima domanda: e’ possibile dare una risposta globale alle fake news? “Chi crea e diffonde false notizie e’ spesso in contatto con dei governi: per questo non incontra ostacoli legali, anzi riceve protezione” spiega Nicola Colacino, docente di diritto internazionale presso l’Universita’ Niccolo’ Cusano. “La punibilita’ di questi soggetti, sul piano internazionale, va esclusa, poiche’ per farlo servirebbe che tutti gli Stati li riconoscessero come ‘nemico dell’umanita”.

https://www.youtube.com/watch?v=H9EijeHXCvs

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