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Strage Bologna, Ciavardini: “Non mi pento perchè innocente. Noi condannati per ipotesi”

"Non è in alcuna maniera riconducibile a me la colpevolezza", sostiene l'ex Nar Ciavardini, condannato in via definitiva con Mambro e Fioravanti

Pubblicato:16-05-2018 12:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:53

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BOLOGNA – “Non mi pento del mio passato e sulla strage sono innocente“. Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per la strage di Bologna come esecutore e anche oggi testimone al processo Cavallini, conferma la propria posizione all’udienza di stamane. Ciavardini risponde al presidente della Corte d’assise, il giudice Michele Leoni, che non si pente, a differenza di quanto fatto dall’ex Nar Walter Sordi, collaboratore di giustizia, che ha testimoniato a sua volta una settimana fa, o di Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio a sua volta condannato come esecutore.


Il mio pentimento– dice a margine dell’udienza Ciavardini- c’è stato con alcuni parenti delle vittime su un fatto specifico e personale, sul quale ho ammesso la mia responsabilità. Per quanto riguarda Bologna, non ho da pentirmi: non perché devo giustificarmi ma perché non è in alcuna maniera riconducibile a me la colpevolezza. Quando parlo in modo negativo di chi ha commesso questo reato, non ho remore a dire che chiunque l’abbia commesso deve essere condannato definitivamente. Lo dico sapendo di essere innocente, non lo sto dicendo autoaccusandomi di qualcosa”.

Evidenzia continuando Ciavardini: “Vorrei che fosse chiaro: indipendentemente dal nostro passato e da tutto quel che abbiamo commesso, noi non abbiamo niente a che vedere con Bologna. Il pentimento giudiziario di altre persone, invece, non può essere in nessun modo paragonato ad un pentimento da innocente…”. Aggiunge ancora l’ex Nar: “Ho fatto gli anni di carcere fino alla fine per Bologna, il Tribunale non mi ha voluto riconoscere un beneficio ulteriore perché dicevano che non mi ero pentito: ma se uno si dichiara innocente, come può pentirsi per qualcosa che non ha fatto”.


“NOI CONDANNATI PER IPOTESI”

“Ci hanno condannato per ipotesi, le prove che hanno portato contro di noi sono sicuramente minori di quelle che hanno su altre strade. È inutile che oggi io dica chi è stato a commettere la strage, chi può essere stato o chi penso può essere stato: c’è comunque differenza tra le prove nei nostri confronti e quelle che da altre parti non sono state forse esaminate. Se penso di sapere chi è stato? Non lo penso e neanche mi permetto di pensarlo, ma non dite che sono reticente per questo”, dice Luigi Ciavardini, a margine del processo che vede imputato Cavallini per concorso alla strage.

Sentito come testimone questa mattina dagli avvocati di parte civile, durante i lavori in aula Ciavardini cambia lievemente versione rispetto alla ‘puntata’ di una settimana fa, che finì con la prospettiva della sua incriminazione per la reticenza a fare i nomi. Rispondendo alle domande dell’avvocato Nicola Brigida, Ciavardini sostiene di non voler fare i nomi di chi lo ospitò nell’alloggio di Villorba di Treviso nei giorni attorno al 2 agosto perché non lo ricorda bene, anche se una settimana fa precisò di non voler coinvolgere persone che non avevano niente a che fare con le sue azioni di allora.

È uno degli episodi che fa osservare al presidente della Corte d’assise, il giudice Michele Leoni: “Non si capisce quando questo teste dice la verità o meno“. Non serve a smuovere Ciavardini, ad esempio, che gli venga ricordato come alla Corte d’assise d’appello a Bologna, nel gennaio del ’90, riferì che in quei giorni venne ospitato in un luogo diverso dalla casa di Cavallini e della sua compagna di allora Flavia Sbrojavacca.

A Ciavardini viene poi riproposto il proprio passato in Terza posizione, il movimento fondato dall’attuale leader di Forza Nuova Roberto Fiore, ma il diretto interessato ad esempio esclude di “aver mai incontrato lo stesso Fiore a Castelfranco Veneto, non sono mai stato a casa sua”. A Ciavardini gli avvocati di parte civile, Brigida e Andrea Speranzoni, mostrano poi sei fotografie per aiutarlo a ricordare una caserma a Treviso vicino a dove parcheggiò l’auto di cui disponeva, sempre per ricostruire le vicende attorno al covo veneto, ma anche in questo caso non spuntano nuovi dettagli.

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