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Tennis, la guerra dei Medvedev: “Daniil e Andréi tra Wimbledon e Kiev”

C'è un Medvedev russo che teme di non poter giocare a Wimbledon. E c'è un Medvedev ucraino che ha sostituito la racchetta col fucile

Pubblicato:16-03-2022 18:48
Ultimo aggiornamento:16-03-2022 19:01

swiatek
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ROMA – Ci sono due Medvedev nel presente e nel passato del tennis, che per omonimia e patria giocano una partita storica tra Russia e Ucraina. C’è un Medvedev russo, Daniil, che teme di non poter giocare a Wimbledon. E c’è un Medvedev ucraino, Andréi, che ha sostituito la racchetta col fucile e combatte sul fronte di Kiev. Daniil è il numero uno del mondo (almeno fino all’aggiornamento delle classifiche di lunedì prossimo) ed è appena stato eliminato a Indian Wells, mentre indossava una bandiera neutrale. Andréi è il ‘primo’ Medvedev del tennis, il precursore. Numero 4 al mondo a 18 anni, nel 1999 (ormai scivolato oltre i top 100) andò vicinissimo all’impresa scalando il tabellone del Roland Garros eliminando Pete Sampras al secondo turno e nei quarti Gustavo ‘Guga’ Kuerten. In finale vinse i primi due set contro André Agassi prima di soccombere al quinto.

E’ uno che s’è lasciato dietro 11 titoli ATP, di cui tre Masters 1000 ad Amburgo (1994, 1995 e 1997), e uno a Montecarlo (1994). Ora s’è unito all’esercito degli sportivi in battaglia, un posto orribile abitato da grandi nomi come il suo: i pugili Vitaly e Wladimir Klitschko, l’allenatore dello Sheriff Tiraspol Yuriy Vernydub o il ciclista Andrei Tchmil. La notizia è stata confermata da un altro tennista-soldato, Sergiy Stakhovsky: “La leggenda mondiale del tennis Andrei Medvedev rimane a Kiev ed è pronta ad affrontare il nemico”. Di lui Gianni Clerici scrisse: “Il fascino di questo ragazzone è la sua capacità di essere sincero sino al candore, di passare dall’allegria contagiosa alla tristezza, in un solo minuto”.

Il secondo Medvedev, un altro spilungone sbilenco capace di opzionare il dominio del tennis moderno in attesa che Djokovic si arrenda, è finito nel tritacarne diplomatico proprio mentre l’Atp lo premiava col numero uno. Il Ministro dello Sport inglese Nigel Huddleston (uno capace di affermare in soldoni che gli affari tra Uk e Arabia Saudita vanno oltre i diritti umani) ha precisato che i tennisti russi potrebbero non essere ammessi a Wimbledon se non si dichiarano pubblicamente contrari a Putin: “Ci sono problemi di visto, nessuno sotto la bandiera russa dovrebbe essere autorizzato a giocare. Abbiamo bisogno della garanzia che non siano sostenitori di Putin“.


Per ritrovare un tabellone slam senza russi tocca tornare indietro al 1968: i carri armati sovietici entrarono a Praga nove giorni prima che a New York cominciassero gli US Open. Il bando internazionale degli atleti è una misura che serve in qualche modo a parlare ai russi, a testimonianza simbolica che qualcosa lì fuori sta effettivamente accadendo ed è colpa della Russia. Ma lo sport s’è mosso con una declinazione del sacrificio a geometria variabile, di federazione in federazione. Una linea perfettamente riassunta dall’esclusione dai Giochi paralimpici di russi e bielorussi un attimo dopo averli ammessi.

Dal pattinaggio al calcio, dall’atletica al basket, i russi non possono competere. In molti altri casi possono farlo da “neutrali”. Nel tennis questa situazione un po’ isterica si legge direttamente in campo. La bielorussa Victoria Azarenka si è improvvisamente bloccata contro la russa naturalizzata kazaka Elena Rybakina: è scoppiata in lacrime dopo un doppio fallo sul 2-2 del secondo set. “Mi dispiace, mi dispiace tanto”, ha detto. Ha ripreso a giocare e ha perso. Dopo la partita ha cancellato gli account social. Il suo Paese fa da sponda a Putin, in una guerra combattuta sul filo tra due Medvedev.

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