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Bar, asili, call center: 120 domande di cassa integrazione al giorno

Il dirigente della Uil di Bologna racconta: "Ricevo 120-130 richieste di ammortizzatori sociali, ogni giorno"

Pubblicato:16-03-2020 18:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:09

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BOLOGNA – Addio tavoli, discussioni fiume, e niente più assemblee con i lavoratori per spiegare accordi e mediazioni faticosamente raggiunti. Impossibile tra paura di contagio e divieto di assembramenti. Ai tempi del coronavirus, le crisi delle aziende medie, piccole e piccolissime si risolvono ormai in poco più che una mail. Ma sono una valanga.

“Ne ricevo 120-130 al giorno”, racconta Carmelo Massari, dirigente della Uil di Bologna: 120-130 richieste di ammortizzatori sociali, ogni giorno. Il 70% sono richieste di accesso al cassa integrazione in deroga, una su tre per avere il fondo di integrazione salariale (Fis). Ogni giorno, tra mail e fax, i consulenti del lavoro spediscono le richieste delle aziende ai sindacati: dal 5 marzo (dunque in una decina di giorni ), Massari ricorda di averne lette e controfirmate, assieme ad un collega della Uil, almeno “un migliaio: arrivano dai bar, dagli asili nido, dalle mense scolastiche.

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Ci sono gli artigiani, le guardie giurate e i call center. Arriva un po’ di tutto. Davvero è tutto fermo: commercio, turismo, scuola, servizi…”, tutti alle prese con le restrizioni imposte dal coronavirus che frenano lavoro, produzioni e acquisti. “Prima si andava ai tavoli, si andava, si contrattava, si discuteva di 13esime, tfr, ferie… Poi si passava in assemblea per spiegare tutto ai lavoratori e vedere se c’erano pregiudizi o problemi sugli accordi, ora non c’è più di tutto questo”. Ora si deve anche far presto e mettere chi soffre gli effetti economici e produttivi del coronavirus nelle condizioni di reggere l’urto, di tenere botta.

Le avvisaglie si sono viste prima del regime da zona rosse e delle restrizioni ‘dure’: già dalla fase della zona arancione è iniziata a Bolgna e dintorni la corsa agli ammortizzatori sociali. Poi si è impennata. Le aziende e i loro consulenti spediscono le richieste a Cgil-Cisl-Uil e le organizzazioni sindacali devono firmare, di fatto certificando che l’attività è chiusa.

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La ‘cassa’ è partita retroattiva, dal 23 febbraio e ora si spera che la durata dell’ammortizzatore si allunghi. “Impossibile dire quando finirà questa fase di emergenza coronavirus. E’ la risposta che tutti vorremmo poter dare, ma è impossibile. Quel che posso prevedere è che da qui a una decina di giorni si esauriscano le richieste di ammortizzatori perchè le avranno fatte tutti“, dice Massari parlando alla ‘Dire’.

Salvagente quindi definito per tutti, allora? Sulla carta sì, “ma ricordiamoci che la cassa integrazione in deroga non prevede anticipo da parte del datore di lavoro. Vuol dire che il dipendente deve aspettare che l’Inps versi le quote e anche l’Inps in questo periodo è chiuso…

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Intanto la gente ci chiama e ci chiede di tutto. ‘Come faccio a pagare l’affitto?’, è una delle domande che mi sono sentito ripetere più spesso… Con loro ora comunichiamo con i cellulari e whatsapp”. Ma in mezzo a tante storie (e firme) ‘difficili’ c’è anche “qualche segno di speranza e fiducia. Tra le tante che ho firmato- racconta Massari- ricordo una richiesta di ammortizzatore curiosa: per sette educatrici di un asilo nido privato di Granarolo. Per loro c’era il fondo di integrazione salariale a zero ore. Si era ancora nella fase in cui i genitori potevano andare al lavoro e i figli dovevano stare a casa da scuola: ebbene queste educatrici si sono offerte di andare a casa dai bambini che assistevano al nido gratuitamente per alcuni giorni per aiutare le famiglie. Mi è sembrata una bella storia di speranza”, conclude Massari.

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