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Zimbabwe, il gesuita: “In piazza anche contro il fondo monetario”

ROMA - "Ci sono le riforme liberali chieste dal Fondo monetario internazionale e c'e' la rabbia della gente, anzitutto insegnanti,

Pubblicato:16-01-2019 14:51
Ultimo aggiornamento:16-01-2019 14:51
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ROMA – “Ci sono le riforme liberali chieste dal Fondo monetario internazionale e c’e’ la rabbia della gente, anzitutto insegnanti, medici e impiegati, che vedono i loro salari fermi e i prezzi alle stelle”: padre Nigel Johnson, gesuita ad Harare, parla con l’agenzia ‘Dire’ delle proteste di piazza, delle vittime e degli arresti nello Zimbabwe.
Secondo il missionario, di nazionalita’ britannica, all’origine della protesta c’e’ il “brusco aumento” dell’inflazione e in particolare della benzina, con tariffe raddoppiate nell’arco di una notte, domenica scorsa. “Il carburante finora era venduto ai prezzi piu’ economici al mondo, perche’ per anni i governi si indebitavano occupandosi solo di politica e non di economia” dice il missionario, in riferimento all’era di Robert Mugabe, al potere dal 1980 al 2017.
Il cambiamento al vertice, con l’intervento dell’esercito, l’entrata in carica e poi l’elezione alla presidenza di Emmerson Mnangagwa a luglio, avrebbe avuto ripercussioni profonde. “Il nuovo governo vuole garantirsi i prestiti del Fondo monetario e non sembra disposto a tornare indietro, nonostante le proteste di piazza” l’analisi di padre Johnson. “I funzionari pubblici sono tra i piu’ esasperati perche’ i loro salari sono bloccati, mentre il cambio reale tra il dollaro locale e quello americano non e’ affatto di uno a uno ma di circa 3,5 a uno”.
Secondo il missionario, a ogni modo, e’ difficile che le manifestazioni possano mutare gli equilibri politici ad Harare.
L’ong Amnesty International ha riferito di almeno otto dimostranti uccisi in pochi giorni, ma il nodo non sono solo i soldati nelle strade.
“C’e’ un problema organizzativo” dice padre Johnson: “Il governo ha bloccato da giorni internet e in particolare WhatsApp, il servizio di messaggistica piu’ utilizzato da attivisti, oppositori e cittadini per diffondere gli appelli a manifestare o semplicemente a scioperare, non aprendo i negozi, non recandosi in ufficio o non portando i figli a scuola”.

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