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Registro protesi mammarie, il Ministero della Salute accanto alle donne

Oggi esperti e associazioni hanno presentato il lavoro che ha portato al Registro delle protesi

Pubblicato:15-12-2022 16:25
Ultimo aggiornamento:15-12-2022 19:48
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“Dopo l’avvio del 2019 in via sperimentale e a carattere volontario da parte dei medici che operano in Italia, dopo ripetuti annunci non andati a buon fine, finalmente è pronto a partire il Registro Nazionale degli Impianti Protesici Mammari (RNPM)”. Così in un comunicato stampa relativo all’evento “Registro nazionale degli impianti protesici mammari. Uno strumento per potenziare la sicurezza dei pazienti”, organizzato dal Ministero della Salute e dall’Istituto superiore di sanità e tenutosi stamattina a Roma all’Auditorium Biagio d’Alba.

Schillaci: “Con il registro si offre il massimo supporto alle pazienti”

All’evento di oggi è intervenuto anche il ministro per la Salute Orazio Schillaci, che ha commentato: “Il Registro è uno strumento di vigilanza e sorveglianza unico nel panorama internazionale. Prevede l’obbligo per i medici di inserire i dati di ciascuna protesi impiantata e rimozione. La gestione del Registro da parte di un’autorità come il Ministero della Salute dà garanzia di indipendenza nella raccolta dati, mentre nella maggior parte del mondo i dati sono coperti da società scientifiche. Potremo disporre di dati reali sul numero delle protesi e su eventuali complicanze e condizioni cliniche eventualmente associate. Il Registro- ha aggiunto- permetterà di conoscere il numero effettivo della popolazione con protesi mammaria, dato oggi sconosciuto. Con il tracciamento si potranno chiamare pazienti, cosa molto importante: basti pensare a quando nel 2010 un’azienda francese riempiva di silicone non conforme le proprie protesi e non fu possibile contattare tutte le pazienti. Questo registro ha grande valore per le pazienti alle quali si potrà dare corretta informazione. Ringrazio per la loro testimonianza di oggi l’attrice Roberta Giarrusso e la giornalista Silvia Mari e a tutte le pazienti rinnovo la mia vicinanza”, ha concluso.

L’obbligatorietà permetterà così di realizzare in Italia il primo monitoraggio clinico completo sull’uso di tali dispositivi per il seno negli interventi di mastoplastica additiva estetica e di ricostruzione del seno dopo mastectomia.


Campanale: “Oltre la metà delle protesi sono impiantate per ragioni ricostruttive”

A tal proposito, la chirurga plastica Antonella Campanale ha ricordato che “dal 2019 raccogliamo dati grazie alla collaborazione di numerosi chirurghi che volontariamente registrano la propria attività con le protesi. L’obiettivo di oggi è anche quello di fornire un primo ‘know how’ in base a questi dati. Al 30 novembre 2022, hanno fornito dati 270 strutture sanitarie, 397 chirurghi su 9229 procedure su 9041 pazienti. In Toscana, Lazio e Sicilia sono stati registrati moltissimi interventi mentre in alcune regioni non ne è stato registrato nessuno e non perché non se ne fanno. Da qui la necessità di rendere obbligatorio il registro”.

Dai dati raccolti, è emerso che “per ora il 56% degli interventi è stato effettuato per ragioni ricostruttive, la restante parte per ragioni estetiche. Il 76% è un intervento di tipo primario. In ambito ricostruttivo, l’età media di un intervento primario è 51 anni, 54 anni la revisione. Nel 60% dei casi l’intervento ricostruttivo è su una sola mammella, nell’80% dei casi a seguito di un carcinoma, nel 16% per una malformazione congenita della mammella. In questo ambito vengono favorite le protesi con forma anatomica e volumi maggiori”.

In ambito estetico, ha spiegato la chirurga, “si riduce l’età del primo intervento e sale l’età dei pazienti che effettuano una revisione chirurgica e nel 97% dei casi l’intervento è eseguito bilateralmente e la maggior parte della revisione avviene in assenza di un problema”.

Nel suo intervento Campanale ha anche esposto i dati relativi alla durata delle protesi mammarie: “La protesi mammaria non è definitiva e il paziente almeno una volta deve sottoporsi a un nuovo intervento chirurgico”, ha sottolineato. “Capire la durata degli impianti è ancora una sfida per l’industria, ma in letteratura si parla più o meno di 10 anni ma è un dato che non ci basta: da questi dati preliminari, abbiamo osservato che esiste un trend diverso. Sembra che una protesi in ambito ricostruttivo duri molto meno, circa 6 anni contro i 10 di quella estetica. C’è un impatto della chemio e della radioterapia? Da questi dati preliminari, emerge che i pazienti con radio o chemio preoperatoria hanno una durata dell’impianto molto più bassa”, ha concluso.  

La correlazione fra protesi mammaria e linfoma Bia- Alcl

Con la presentazione del registro, è stata fatta anche la fotografia della sospetta relazione tra protesi mammarie e Linfoma anaplastico a grandi cellule (BIA-ALCL). Come sottolineato dalla chirurga plastica Antonella Campanale, “Il linfonoma anaplastico a grandi cellule può istaurarsi in qualsiasi paziente ma in pazienti con protesi mammarie si è notato che si sviluppava tutto intorno all’impianto, da lì è venuto il sospetto.  Da quando abbiamo ricevuto i primi casi notificati al Ministero alla fine del 2014, per prima cosa abbiamo iniziato a diffondere conoscenza con note e circolari agli operatori sanitari e medici, dando indicazioni anche su come effettuare correttamente la diagnosi. Abbiamo reso obbligatoria la notifica al Ministero della Salute e abbiamo messo su un team multidisciplinare, perché la patologia va affrontata insieme all’oncologo, al radiologo etc. Infine l’Italia è parte della task force europea istituita nel 2014 con l’obiettivo di monitorare questa malattia”.

“Abbiamo messo su un registro dei pazienti italiani con questa malattia e al 30 novembre 2022 ci sono stati 92 casi, raccolti in questi 10 anni. Ogni anno- ha proseguito- stimiamo l’incidenza, affinando la metodologia: c’è stato un picco nel 2019 con un caso ogni 17mila pazienti. Nella maggior parte dei casi (60%) la diagnosi è avvenuta in pazienti con ricostruttiva. Nel 70% dei casi la malattia si è presentata con il sieroma, in altri casi anche altri sintomi, in una piccola percentuale (circa il 5%) con una massa”.

Per quanto riguarda le tempistiche, “dall’impianto all’insorgenza dei primi sintomi stimiamo passino 7 anni e 8 anni alla diagnosi. È importante che non ci sia troppa discrepanza tra il tempo ai sintomi e alla diagnosi”, ha sottolineato.

In ogni caso, si tratta di un linfoma “con prognosi favorevole: la maggior parte arrivano al primo stadio, ma anche a quarto stadio. Il 98% dei pazienti è guarito. In Italia abbiamo avuto 2 casi di decesso. Tutto quello che abbiamo imparato è stato sempre condiviso col mondo scientifico con la pubblicazione di lavori scientifici”. Il linfoma, ha spiegato, “si comporta come un tumore solido e il ruolo della chirurgia è fondamentale per assicurare la guarigione”.  

L’attenzione, per ora, “rimane concentrata sul ruolo della protesi mammaria”, ha ribadito Campanale. “A volte nello stesso paziente si possono trovare impianti diversi: abbiamo guardato tra i pazienti con storia di impianto e sono la maggior parte. Inoltre, circa il 76% delle protesi aveva superficie macrotesturizzata ma va considerato che fino al 2018 in Italia il 99% delle protesi erano testurizzate e per lo più macro. Quello che accadrà ora lo seguiremo anche con il registro”, ha dichiarato.

Di Napoli: “Le protesi testurizzate irritano di più, ma il linfoma rimane molto raro”

Sul tema è intervenuta anche Arianna Di Napoli, Professoressa Associata di Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Università degli Studi di Roma “Sapienza” di Roma: ““Il cancro è una malattia genetica che dipende da una serie di alterazioni. È particolarmente sensibile una cellula che prolifera e si divide che deve sintetizzare nuovo DNA. Più sintetizza più può produrre errori. A volte- ha proseguito- c’è accumulo di diverse mutazioni o perché le abbiamo ereditate o perché sono state acquisite durante la vita extrauterina”, ha puntualizzato.

L’infiammazione facilita il cancro perché induce un danno sulla cellula del nostro sistema immunitario attivando a livello intracellulare dei segnali che portano la cellula a proliferare. È la storia di chi ha l’Helicobacter o di chi fuma. L’impianto mammario è un corpo estraneo e il nostro corpo all’inizio lo vuole distruggere ma non può, quindi a un certo punto si forma una cicatrice fibrosa in cui vivono ancora cellule del nostro sistema immunitario per tenere sotto controllo”.

Per quanto riguarda il linfoma Bia- Alcl e il legame con le protesi mammarie, “la testurizzazione potrebbe irritare di più il nostro sistema immunitario, ma il rischio è comunque molto basso. Quindi perché è così basso il rischio? C’è una predisposizione genetica nei pazienti? Alcune mutazioni, come quella della sindrome da Li- Fraumeni e le Brca 1 e 2 sembrano abbiano maggior rischio di avere questo tumore ma la maggior parte dei casi non ha né la sindrome di Li- Fraumeni né le mutazioni Brca. Esiste forse qualche fattore predisponente minore. Abbiamo fatto uno studio sulle pazienti raccogliendo sangue, saliva e un campione tumorale: abbiamo ottenuto 2.5 bilioni di varianti germinali, quindi ognuna ne ha 30mila. C’è una sorta di ‘buco blu’: quello che per il momento chiamiamo gene ‘3 a’ ed è quello che si accende di più nei pazienti con linfoma. È un gene mutato, anche se non tutti i pazienti ce l’hanno. Paragonando quelli mutati a quelli non mutati, la mappa fa vedere un profilo mutazionale di geni 3 a mutati diverso da geni 3 a non mutati. Forse il linfoma viene da programmi di mutazioni diverse”, ha concluso.

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