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Lavoro da remoto o presenza, in Veneto è da crisi di nervi in pandemia

Un'indagine fatta in Veneto ha fatto emergere una serie di rischi di stress legati al lavoro agile

Pubblicato:15-12-2021 15:46
Ultimo aggiornamento:15-12-2021 15:46

foto credit @ Sara Cervelli
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BOLOGNA – Lavoratori sull’orlo di una crisi di nervi. Che fossero in presenza o in smart working, la pandemia ha aumentato lo stress a livelli che è bene tenere sotto controllo. Lo rivela un’indagine, avviata lo scorso febbraio e condotta da Legacoop Veneto e Inail-Direzione regionale Veneto, all’interno di un progetto più ampio dal titolo ‘La prevenzione del rischio stress lavoro correlato: strategie di work life balance nello smart working e nel lavoro in presenza nell’attuale scenario sanitario’.

LAVORATORI INTERVISTATI CON IL ‘TERMOMETRO EMOZIONALE’

Ebbene, lo studio ha indagato come il lavoro agile e il lavoro in presenza nella pandemia siano stati vissuti da un campione di 300 lavoratori e lavoratrici di alcune imprese cooperative associate a Legacoop Veneto. Per farlo è stato utilizzato lo strumento del ‘termometro emozionale’, in grado di quantificare le emozioni provate dalle persone, in modo particolare rispetto al contesto lavorativo, sia da remoto che in presenza, sull’adeguatezza degli strumenti a disposizione, sulla congruità degli orari lavorativi, sulla situazione familiare e le eventuali criticità di gestione.

A rispondere al questionario somministrato sono stati lavoratori (72% sul totale) di cooperative sociali di tipo A e B, di cooperative culturali, di consumo e di servizi. Il 41% del campione lavorava da remoto al momento dell’intervista, il restante 59% in presenza. L’età media è di 41-50 anni per i lavoratori in presenza (fascia che costituisce il 38% del totale) e di 30-40 anni per chi era in smart working (41% del totale). È laureato il 61% dei lavoratori da remoto e il 27% di chi impegnato in presenza.


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CONTENERE LO STRESS PER EVITARE LIVELLI PATOLOGICI

Rispetto ai temi specifici dell’indagine, è emerso che il 46% dei lavoratori in presenza e il 43% di quelli in smart working si trovava al momento dell’intervista in una situazione di stress che è bene monitorare, “in uno stato da tenere sotto controllo per impedire il presentarsi di situazioni patologiche”.

Se i livelli di stress sono più o meno uguali tra chi lavora in presenza e chi lavora da remoto, emergono tuttavia delle differenze rispetto alla percezione del proprio futuro lavorativo: l’81% dei lavoratori da remoto e il 61% di chi lavorava in presenza afferma di sentirsi ‘coraggioso’. Il dato, indagato più in profondità, rivela che a sentirsi più positivi e meno stressati sono i giovani lavoratori da remoto, per lo più dotati di un livello di scolarizzazione superiore e con maggiori competenze digitali che anche consentono loro una maggiore autonomia di gestione. Dunque, la ricerca ha permesso di delineare il profilo del lavoratore smart ideale: organizzato, addetto a mansioni intellettuali, con un livello di scolarità medio-alto (laurea di primo o secondo livello), con competenze digitali e autonomia nello svolgimento del compito. Viceversa, risultano più preoccupati nello svolgere il proprio lavoro da remoto coloro che si sentono meno a loro agio con gli strumenti digitali e tecnologici, e che magari hanno a che fare con una leadership poco flessibile e con una gestione familiare più complessa e faticosa.

DA REMOTO NON È TUTTO ROSE E FIORI

Da remoto, tuttavia, non è tutto rose e fiori: il 55% degli intervistati, ad esempio, dichiara di non aver ricevuto obbiettivi specifici assegnati per la propria mansione. E ancora, circa un terzo di chi lavorava ‘a distanza’ afferma che solo sporadicamente si sono svolte riunioni di condivisione delle attività (una volta al mese o ancor più dilazionate). Inoltre, l’88% dei lavoratori in smart working segnala che i propri orari lavorativi sono aumentati (tema collegato al diritto alla disconnessione, introdotto nel recente accodo che disciplina il lavoro agile nel privato).

CON LA PANDEMIA EMERGE UN NUOVO TIPO DI POTENZIALE STRESS

Questa ricerca è il primo tentativo di fare una ricognizione del genere nell’ambito del settore cooperativo. L’obiettivo è supportare i lavoratori delle imprese associate fornendo gli strumenti necessari per cercare di limitare lo stress da lavoro correlato che può sorgere in una condizione sociale modificata dagli avvenimenti sanitari”, spiega Davide Mantovanelli, responsabile del progetto per Legacoop Veneto. “Da questo progetto emerge la lungimiranza di Legacoop e Inail di aver voluto approfondire un nuovo rischio e una nuova condizione organizzativa per lavoratori e imprese dovuti alla grave emergenza sanitaria tuttora in corso”, sottolinea Enza Scarpa, direttore regionale di Inail Veneto.

“La collaborazione tra Legacoop e Inail ci permette di rispondere al rischio sempre più crescente e preoccupante dello stress da lavoro, mettendo in luce il fenomeno e fornendo strumenti utili per gestirlo e prevenirlo”, assicura Mirko Pizzolato, direttore generale di Legacoop Veneto. “Per sondare lo stato emotivo dei lavoratori e delle lavoratrici è stata misurata la loro ‘temperatura emotiva’, con l’obiettivo di mappare gli elementi utili a favorire la prevenzione delle condizioni di rischio psicosociale nei lavoratori sia in smart working che in presenza. Le emozioni sono, infatti, processi multicomponenziali che si attivano attraverso eventi e fattori di varia natura. Sono dunque un segnale importante di cambiamento nelle persone”, conclude Tatiana Favaro, psicologa e psicoterapeuta consulente di Isfid Prisma che ha seguito la fase di indagine del progetto.

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