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Assolti i medici che non diagnosticarono il cancro a Maria Arcidiacono

"Un medico che sbaglia una diagnosi per ben due volte non paga per il suo errore perché tanto Maria sarebbe morta lo stesso?", chiede il padre di Maria

Pubblicato:15-11-2019 15:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:37
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ROMA – Franco Di Filippo, senologo dell’Ifo; Domingo Girardi e Luigi Bortolotti, radiologi dell’Aster Diagnostica di Mostacciano, i medici che visitarono Maria Arcidiacono, morta il 6 marzo 2012 per un carcinoma mammario all’inizio scambiato per fibroadenoma, sono stati “assolti perchè il fatto non sussiste” come spiegano le motivazioni della sentenza uscite a settembre perchè “gli elementi acquisiti non consentono di affermare aldilà di ogni ragionevole dubbio che una diagnosi ancor più tempestiva avrebbe condotto ad un epilogo diverso“. 

Maria infatti muore a 30 anni, dopo 24 mesi di cure e chirurgia, e dopo aver aspettato quasi sei mesi per arrivare dal giorno della scoperta del nodulo, avvenuta a fine marzo 2010, alla diagnosi corretta, (carcinoma triplo negativo) che avvenne ad agosto 2010 in altra struttura sanitaria.

Del caso la redazione DireDonne si era occupata, intervistando il padre di Maria, Paolo Arcidiacono e ripercorrendo quei mesi che, da aprile fino a giugno 2010, portano la ragazza, giovane ingegnere in carriera, tra ecografie e due visite specialistiche perchè “Maria, aveva scoperto da sola il nodulo ed era molto preoccupata”. 


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“Un’immagine nodulare riferibile verosimilmente a fibroadenoma” stabilisce l’ecografia del 2 aprile eseguita dal Girardi che “consiglia, ma non scrive nel referto di andare da un senologo”. La visita con il senologo dell’Ifo, il 21 aprile, “conferma la diagnosi di fibroadenoma e si conclude con la prescrizione di Ananase”, un blando antinfimmatorio. Il nodulo era mobile e tutto faceva propendere per la natura benigna” riferisce il senologo. Il nodulo di Maria aumenta e una nuova ecografia del 14 giugno, sempre nello studio Aster Diagnostica di Roma, questa volta eseguita dal Bortolotti, rileva “netto aumento volumetrico e assenza di vascolarizzazioni di chiaro significato patologico, sottolineando l’opportunità di altri accertamenti”. Un’altra visita a giugno, sempre con Di Filippo, si conclude, dopo le insistenze di Maria, con indicazione dei codici per un agoaspirato “…se proprio mamma e figlia volevano stare più tranquille”. Esame che Maria non riesce a fare per il troppo dolore, mentre Di Filippo la rimanda a settembre per una nuova ecografia. Ma ad agosto, all’ospedale Cannizzaro di Catania, dove la giovane si trova per le vacanze estive, Maria riceve la diagnosi di carcinoma infiltrante triplo negativo. I consulenti del pm hanno escluso che “una diagnosi più tempestiva avrebbe potuto offrire maggiore chances di sopravvivenza a Maria. Il tumore di Maria aveva un’inusuale drammatica capacità proliferativa” si legge sempre in sentenza. 

Tra i consulenti Riccardo Masetti, direttore del centro di senologia del Policlinico Gemelli di Roma, riferisce che un “tumore triplo negativo come quello di Maria puo’ avere una caratteristica di spread metastatico sin dalla fase iniziale”. Davide Conte, oncologo del Regina Apostolorum di Albano Laziale, dichiara di non poter stabilire se “le metastasi ci fossero sin da aprile, come sostenuto da Masetti”. 

I consulenti di parte civile dicono l’opposto. Tra questi le dottoresse Francesca Catalano (primaria di Senologia del Cannizzaro di Catania, Nerina Pagano e Adriana Bonifacino che sin dall’ecografia del 2 aprile ravvede “un’immagine sospetta che necessitava approfondimento diagnostico cito/isto-logico” e segnala “un utilizzo del color power doppler con frequenza non corretta” nella ecografie fatte in aprile. E Francesco Ammaturo che è sicuro che “una diagnosi più tempestiva avrebbe permesso a Maria una differente proposizione terapeutica”. Posizioni non ancorate a dati scientifici secondo la sentenza. 

“E’ necessario accertare- si legge infatti nelle motivazioni- se il comportamento omesso- in questo caso la diagnosi del carcinoma- avrebbe impedito o ritardato il verificarsi dello stesso o la sua lesività”, e ancora “non è accertato in quale stato esattamente si trovasse il tumore di Maria al momento dell’omessa diagnosi”. 

Dunque per l’omessa diagnosi non è prevista alcuna pena? Non esiste forse un diritto ad avere una giusta diagnosi?” si domanda il padre di Maria, Paolo, raggiunto dalla Dire per commentare la sentenza. “Vuol dire che i medici sono maghi e possono stabilire che Maria sarebbe morta lo stesso anche se ad aprile le avessero diagnosticato il cancro che aveva? Dunque un medico che sbaglia una diagnosi per ben due volte non paga per il suo errore perché tanto Maria sarebbe morta lo stesso? Sarebbe come dire che se domani con la nostra macchina travolgessimo una persona non saremmo puniti se dovesse risultare che il malcapitato era un malato di cancro?”. Maria è purtroppo una donna da ricordare che non avremmo mai voluto in questa rubrica. Troppo giovane, tutta in decollo la sua vita “di talento, musicista, studentessa modello, ingegnere elettronico e con la passione per le auto da corsa”. Oggi riposa nel cimitero di Acireale. I suoi genitori non faranno in tempo a presentare appello perché il processo è durato sette anni e la prescrizione ora è alle porte.

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