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MODENA – Una morte nelle acque del Piave dove Susanna Recchia si sarebbe immersa con sua figlia in braccio. Non si sarebbe lanciata dal ponte. Si inizia già a scrivere di depressione, disperazione e magari di campanelli d’allarme non colti. “Non è lecito esprimere pareri su casi clinici. Chi lo dice che fosse depressione? Troppo spesso la parola depressione viene usata per ciò che invece è delirio o psicosi”. In sala stampa a Modena la psicoanalista Simona Argentieri risponde così alla Dire sul caso della mamma, Susanna Recchia, trovata senza vita abbracciata alla figlia di 3 anni su un isolotto del Piave. Un caso sotto indagine di cui oggi si conosce ancora poco. Si mettono insieme i pezzi per tentare di ricostruire una tragedia che fin da subito non aveva lasciato troppe speranze: una separazione fresca, una bimba con problemi di salute, una lunga lettera di addio trovata dall’ex compagno, altri due figli più grandi.
“E’ indecoroso- aggiunge Argentieri- lanciare diagnosi come sassi. Come accaduto per il 17enne che ha ucciso i genitori. Che sappiamo se il ragazzo non avesse patologie?”, si domanda. “I vicini dicevano che andava tutto bene” si dice, e cosa ne sapevano? Controcorrente rispetto alla tendenza attuale di psicologizzare tutto denuncia come “sia pericoloso rispondere a bisogni sociali con le terapie. Come accaduto al terremoto de L’Aquila: troppe psicoterapie per quelle mamme che avevano bisogno solo di chi le aiutasse a tenere i bimbi mentre facevano una doccia. Tutto questo genera un equivoco, ed e’ pericoloso”.
Le malattie hanno un nesso nella cultura, nel senso “che la cultura produce il modello in cui ci ammaliamo” sostiene l’esperta: oggi si parla di disturbi bipolari, prima erano quelli alimentari, prima ancora era l’isteria. Argentieri nella sua lezione magistrale al Festivalfilosofia mette a fuoco come criticità del presente la tendenza a “individuare nuove malattie”, “a offrire sempre nuove terapie con un plotone di nuovi psicologi” e poi, denuncia, si ricorre a una psicoterapia di una volta a settimana che rispetto ad una vera psicoanalisi “può al massimo mettere una pezza”.
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