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VIDEO | Coronavirus, il giornalista albanese: “Nuova fratellanza tra Italia e Albania”

Il 28 marzo scorso sono atterrati i 30 esperti inviati da Tirana. Nello stesso giorno, 23 anni fa, morivano decine di migranti albanesi

Pubblicato:15-04-2020 16:51
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:08
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di Brando Ricci

ROMA – “Abbiamo assistito a un cambio di paradigma. L’Albania per l’Italia non è più un cugino sempre in affanno, ma un fratello minore pronto a dare una mano in un momento come questo, di estrema difficoltà”: a parlare con l’agenzia Dire è Gjergji Kajana, giornalista di origine albanese, 38 anni, la metà dei quali trascorsi a studiare e a lavorare nel nostro Paese.


CONDIVIDIAMO LA STESSA SOFFERENZA

Collaboratore di testate e di quotidiani della diaspora in Italia, Kajana racconta il vissuto della numerosa comunità albanese ai tempi della pandemia di Covid-19. “C’è un grande coinvolgimento da parte dei cittadini albanesi che vivono qui” premette. “Stiamo condividendo la vostra sofferenza in questo momento buio, ci sono perdite anche nella nostra comunità”.

I 30 ESPERTI DA TIRANA

Comunità che sta dando il suo contributo, anche nel settore che più ha bisogno: “Per l’Oim, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni in Albania, mi sto occupando di fare un censimento del personale sanitario di origine albanese impegnato nella lotta al Covid-19; sono tanti i professionisti in prima linea e poi c’è molto volontariato, soprattutto al Nord”. Medici e infermieri albanesi che lavorano nel nostro Paese da anni, ai quali dal 28 marzo si sono uniti 30 esperti inviati direttamente da Tirana.

“UNA CANDELA IN UNA STANZA BUIA”

Secondo Kajana, è stato un momento storico, con un significato anche simbolico. “Il 28 marzo di 23 anni fa decine di migranti albanesi persero la vita in un incidente nel Canale di Otranto, mentre tentavano la traversata verso le coste italiane” ricorda il cronista, che aggiunge: “Sono passati anni da quella tragedia e ora inviamo personale sanitario, cooperiamo e dimostriamo grande fratellanza. ‘Una candela in una stanza buia’, come ha detto il primo ministro Edi Rama”.

QUALE PROPAGANDA

Secondo Kajana, la missione albanese è un gesto che ha ricadute su tutti i piani, “politico-diplomatico, comunicativo e umanitario” e non è un atto di propaganda: “È stato un aiuto serio, reale e in momento di grande bisogno”. La cooperazione tra Italia e Albania si sviluppa su più livelli e il ruolo della diaspora è centrale.

IL RUOLO DEL MINISTERO PER LA DIASPORA

“Dal 2017 il governo albanese ha introdotto un nuovo approccio rispetto alle comunità all’estero” spiega Kajana: “È stato istituito un ministero per la Diaspora e sono stati avviati progetti, in collaborazione con l’Organizzazioni internazionale delle migrazioni, per valorizzare il ruolo degli espatriati, che sono una risorsa e non solo per via delle rimesse”.

Il cronista è stato consulente del programma ‘Coinvolgere la diaspora albanese nello sviluppo sociale ed economico dell’Albania’, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e supportato dai ministeri della Diaspora, degli Affari esteri e dell’Economia, oltre che dall’Agenzia albanese per gli investimenti (Aida). “Questi progetti sono in continuo divenire – sottolinea il giornalista – anche se al momento sono limitati dalle misure restrittive in atto nei due Paesi”.

IL COVID IN ALBANIA

Anche l’Albania ha predisposto infatti un blocco di tutte le attività non essenziali per contenere la diffusione del Covid-19 e per ora la stretta sembra efficace. “Appena sono stati registrati i primi casi di contagio le autorità hanno imposto misure ancora più rigide di quelle italiane” sottolinea Kajana. “Ha funzionato: a oggi i numeri ufficiali parlano di 475 casi e 24 decessi; sono sempre persone che soffrono, ma i numeri potevano essere molto peggiori”.

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