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Sudan, ancora proteste. Via coprifuoco e cambi ai vertici Polizia, ma la piazza chiede un governo di civili

Ancora proteste nella notte a Khartoum: ora la richiesta è di un governo civile. Ma il vescovo Daniel Marco Kur Adwok, lancia l'allarme: "Cautela con l'esercito, Il vecchio regime potrebbe ritornare"

Pubblicato:15-04-2019 11:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:21

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ROMA – Non si fermano le proteste in Sudan, dove nella notte migliaia di persone hanno continuato a presidiare il quartier generale dell’esercito a Khartoum.

Dopo le dimissioni lampo di Awad Ibn Auf, ex ministro della Difesa e leader del colpo di Stato che giovedì ha rovesciato il governo di Omar Al-Bashir, i manifestanti di Khartoum invocano un governo civile. Ibn Auf, considerato dai dimostranti troppo vicino a Bashir e sanzionato dagli Stati Uniti per crimini contro l’umanità commessi da milizie che agivano in Darfur, ha lasciato il posto al meno controverso generale Abelfattah Al-Burhan.

Quest’ultimo, nominato meno di 48 ore dopo il suo predecessore, ha ritirato il coprifuoco imposto dalla giunta e annunciato la liberazione dei dimostranti arrestati nelle ultime settimane. Il consiglio militare ha anche annunciato la sostituzione dei capi della polizia, dell’esercito e del potente servizio nazionale di intelligence. Fino a pochi giorni fa, quest’ultimo era guidato dal famigerato Salah ‘Gosh’ Abdallah, che sabato ha lasciato l’incarico: le sue dimissioni sono state accolte dai manifestanti come una vittoria.


Al-Burhan ha annunciato inoltre una commissione contro la corruzione, indagini sul Partito del Congresso nazionale, al potere per 30 anni e una revisione delle missioni diplomatiche, con il licenziamento degli ambasciatori sudanesi negli Stati Uniti e alle Nazioni Unite. Il generale ha confermato invece la durata massima di due anni per il periodo di transizione, assicurando che in seguito a questo sarà istituito un governo civile.

Sul suo account Twitter, il gruppo Sudanese Translators for Change, che da mesi pubblica contenuti inerenti alle proteste in corso, pubblica la foto di una folla di manifestanti e scrive: “Quest’immagine mostra il sit-in in corso intorno al quartier generale dell’esercito la scorsa notte, il 14 aprile”.

MONSIGNOR KUR ADWOK: CON L’ESERCITO I CIVILI SIANO CAUTI

“I civili dovrebbero muoversi con cautela nei confronti dell’esercito, almeno fino a quando la situazione non apparirà più chiara dal punto di vista della sicurezza”: così all’agenzia ‘Dire’ monsignor Daniel Marco Kur Adwok, vescovo ausiliario di Khartoum. L’intervista si tiene dopo la destituzione del presidente Omar Hassan Al-Bashir e l’entrata in carica di un “consiglio militare di transizione”, che si è impegnato in prospettiva a trasferire il potere a un esecutivo espressione di partiti e movimenti politici.

Secondo il vescovo, la caduta del capo di Stato al potere dal 1989 e dei suoi “collaboratori di vertice” è stata possibile non solo per le manifestazioni di piazza in corso da dicembre ma anche per il sostegno offerto negli ultimi giorni dalle forze armate ai dimostranti.

L’assunto di monsignor Kur Adwok è che “in oltre 30 anni il Partito del Congresso nazionale ha consolidato il proprio potere sul piano economico e politico anche attraverso agenzie per la sicurezza come i National Intelligence Security Services (Niss), le Popular Defence Forces e la Rapid Support Force”. Organismi, questi, in prima fila nei tentativi di repressione del movimento di piazza. “Nei giorni scorsi è apparso chiaramente che sostenevano Al-Bashir e il suo governo – sottolinea il vescovo – e infatti alcuni manifestanti sono stati uccisi”.

Un passaggio decisivo, allora, sarebbe la riforma delle agenzie per la sicurezza. “Il vecchio regime potrebbe ritornare” avverte monsignor Kur Adwok. “Finché i dirigenti del Niss e degli altri corpi speciali non saranno costretti ad ascoltare le richieste popolari di cambiamento e democratizzazione politica, i leader del movimento di protesta non dovrebbero entrare in conflitto con l’esercito, che finora ha protetto i civili aiutandoli a resistere”. In prospettiva, poi, ci sono i nodi economici e sociali.

“La rivolta – sottolinea il vescovo – è stata innescata dall‘improvviso aumento di beni essenziali come pane e carburante e dal fatto che il governo non aveva predisposto meccanismi di protezione sociale, a partire da aumenti salariali che scongiurassero un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori”.

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