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Ucraina, Soleterre: “Essenziale attivare treno per bambini oncologici intubati”

La responsabile del Programma Salute Globale: "Questa guerra, oltre ai danni più visibili, porterà grandissimi danni a livello psicologico"

Pubblicato:15-03-2022 14:54
Ultimo aggiornamento:15-03-2022 14:54

profughi ucraina
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ROMA – Si scusa Alessandra Radaelli, responsabile del Programma Salute Globale della Fondazione Soleterre, quando nel corso dell’intervista si sente in sottofondo il suono di quella che sembra essere una semplice sveglia, ma che in realtà è un’app predisposta sul cellulare di una sua collega ucraina, da poco arrivata in Polonia, che avverte in tempo reale dei bombardamenti su Kiev. Fa impressione, ma è la guerra. Radaelli attualmente si trova per Soleterre in Polonia, al confine con l’Ucraina, per prestare soccorso ai bambini ucraini malati oncologici. Alloggia in una casa messa a disposizione da una famiglia polacca ad un buon prezzo, perché, racconta, la solidarietà ricevuta per fortuna è molta. Per lei e i suoi colleghi quelle appena trascorse sono state giornate intense ma fruttuose, perché sono riusciti a far trasferire in Italia piccoli pazienti fuggiti dalla guerra che hanno necessità di iniziare o proseguire le cure.

È mattina, a breve dovrà occuparsi di nuovi rifugiati in transito, ma accetta volentieri di rilasciare un’intervista video alla Dire e anzi ringrazia per l’opportunità di raccontare quello che sta accadendo in quei territori.

– È una domanda banale, ma qual è la situazione in questo momento?
“Noi siamo abbastanza privilegiati perché per necessità logistiche ci troviamo vicini all’aeroporto, dove facciamo confluire i bambini che ci vengono inviati dai nostri colleghi ucraini e che provvediamo a trasferire e a far ricoverare in alcuni ospedali italiani, inizialmente solo della Lombardia ma adesso di tutto il Paese. Vediamo moltissima solidarietà da parte di tutti, anche la casa in cui stiamo ci è stata affittata da una famiglia polacca ad un prezzo di favore, perché abbiamo raccontato che cosa facciamo e hanno voluto aiutarci a loro modo. Al confine, i centri di smistamento e di accoglienza hanno attivato un sistema di aiuti a volte un po’ caotico ma veramente molto efficiente. Qui arrivano moltissime persone, hanno la possibilità di riposarsi dopo un viaggio stremante, gli viene offerto del cibo caldo e data una SIM card; dopodiché, vengono aiutate a trovare un trasporto per continuare il loro viaggio. Per il momento noi non siamo attivi in questi centri di accoglienza, però abbiamo fornito medicinali e ci sono tutti i servizi necessari ai rifugiati in transito”.


– Quanti bambini siete riusciti a trasferire fino a questo momento e in quali Paesi? “Abbiamo attivato cinque voli e trasferito all’incirca 25 bambini in Italia, dove i nostri colleghi, in collaborazione con l’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia pediatrica, hanno identificato gli ospedali più adatti per il ricovero. Alcuni bambini devono ancora iniziare le cure, perché avevano ricevuto una diagnosi poco prima del conflitto, altri devono continuarle, mentre altri ancora, invece, hanno delle recidive e avrebbero già dovuto ricominciare le cure nei giorni scorsi ma non hanno potuto farlo. Pochi giorni fa, per esempio, è arrivata una mamma con un bambino che ha un tumore con una recidiva e abbiamo fatto del nostro meglio per farlo partire prima degli altri perché ci sembrava urgente la ripresa delle cure”.

– Non tutti i bambini, però, purtroppo sono trasportabili. Cosa si può fare per quelli che a causa delle loro condizioni di salute sono rimasti in Ucraina?
“Stiamo cercando di capirlo con l’aiuto da un lato dei colleghi ucraini operativi su Leopoli dall’altro dei colleghi italiani che stanno esplorando tutte le opportunità di collaborazione con la Protezione civile. Proprio questa mattina ho ricevuto un messaggio dal nostro presidente che parlava di un’opportunità, forse, di attivare un treno per i bambini intubati. Non è scontato attivare questo tipo di trasporto in un Paese con un conflitto attivo, ma davvero essenziale”.

– Come stanno reagendo alla guerra i bambini che siete riusciti a trasferire?
“I bambini che arrivano li vediamo solo per poche ore perché sono in transito, quindi è difficile capire quanto siano traumatizzati. Ad ogni modo vengono supportati, soprattutto all’arrivo in Italia, da psicologi che parlano ucraino e russo e che abbiamo messo a disposizione. Abbiamo invece avuto un po’ più di tempo per interagire con le madri, che vivono una grandissima ansia perché molte di loro hanno dovuto affidare magari altri figli ai nonni oppure ad una zia. Loro si trovano veramente in una situazione di stress fortissimo, anche perché spesso hanno dovuto affrontare anche un viaggio molto rocambolesco”.

– Come vede le prossime settimane? Se la guerra dovesse terminare, cosa che ci auguriamo tutti, l’emergenza per questi bambini probabilmente proseguirà… “Sicuramente, perché le capacità di cura in alcuni posti non saranno più sufficienti. Noi abbiamo attivato anche la consegna di farmaci oncologici, in modo che i bambini che non riescono ad essere evacuati immediatamente possano comunque continuare ad essere curati nell’ospedale di Leopoli, che attualmente è sovraccarico di lavoro. Sarà necessario, idealmente, rinforzare le risorse umane e continuare anche nel supporto di farmaci. Probabilmente molta della strumentazione è stata danneggiata, quindi ci sarà da fare un grandissimo lavoro”.

– La guerra in Ucraina è un dramma per tutta la popolazione del Paese, ma soprattutto per i bambini. L’evento più brutale è stato il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol. Qual è l’appello che vuole fare?
“Questa guerra, oltre ai danni più visibili, porterà grandissimi danni a livello psicologico. Noi ci stiamo già attivando per trovare psicologi che parlino in russo e ucraino e che siano in grado di offrire un sostegno psicologico anche a distanza. L’appello, quindi, è che il nostro sforzo venga sostenuto sia con attività di donazione ma anche grazie alla disponibilità di esperti che vorranno partecipare a questa attività. Il trauma della guerra si manifesterà in maniera enorme nelle prossime settimane e nei prossimi anni; e se non viene fatta qualcosa in maniera tempestiva c’è il rischio di rovinare delle generazioni”.

– Un’ultima domanda: voi operate da anni in quei Paesi, ma vi aspettavate che scoppiasse una guerra?
“Assolutamente no, Soleterre aveva un progetto molto interessante con l’ospedale di Leopoli, stavamo creando un’unità di trapianto di midollo osseo proprio presso l’ospedale pediatrico della città. A novembre dello scorso anno 12 medici ucraini erano venuti in Italia per fare formazione al San Matteo di Pavia e non ci aspettavamo assolutamente la guerra, ma anzi che tra qualche settimana quegli stessi medici sarebbero nuovamente tornati in Italia per continuare la formazione, iniziando addirittura a fare i primi trapianti. È stato veramente un durissimo colpo, non era affatto qualcosa che ci aspettavamo. E purtroppo questo fermerà tutta una serie di attività e iniziative molto utili per il lavoro che si sarebbe potuto fare per rafforzare le capacità delle cure in Ucraina”.

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