Protocollo Napoli alle scuole di psicoterapia: “Sottoscrivete l’impegno anti Pas”

L'appello contro prelevamenti, isolamento e campi di riunificazione dei bambini

Pubblicato:15-02-2025 10:09
Ultimo aggiornamento:15-02-2025 10:09
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ROMA – “Il Centro studi e ricerche ‘Protocollo Napoli’ e un gruppo di studiosi e studiose dell’Università Federico II di Napoli, delle Università Milano Cattolica e Milano Bicocca, dell’Università di Trieste hanno condiviso una dichiarazione contro l’alienazione parentale, nell’ottobre 2024, sottoscritta poi da più di 300 firmatari, tra addetti ai lavori e associazioni in difesa dei diritti delle donne (https://aps-psycom.com/protocollo-napoli/ ). La dichiarazione, tra l’altro, faceva propria la raccomandazione della Rapporteur speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e i loro figli/e: gli Stati legiferino per vietare l’uso dell’alienazione parentale o di pseudo-concetti correlati nei casi di diritto di famiglia e l’utilizzo di cosiddetti esperti in alienazione parentale e pseudo-concetti correlati; la formazione sia obbligatoria per tutti i professionisti della giustizia familiare sulla relazione tra accuse di alienazione genitoriale e violenza domestica e abuso sessuale; tale formazione dovrebbe essere fornita anche per combattere gli stereotipi di genere e garantire la comprensione degli standard legali sulla violenza contro donne e bambini a tale riguardo; l’uso di “campi di riunificazione” per bambini come parte di qualsiasi esito in procedimenti legali sia vietato”.

Così in una lettera le referenti del Protocollo Napoli alle referenti delle scuole di formazione in psicoterapia per sostenere l’inammissibilità del trattamento PAS sui minori e la non eticità dei trattamenti coercitivi e forzosi che ne discendono. “Il trattamento che discende dalla PAS/AP, teoria ascientifica- scrivono- non può che essere considerato a sua volta ascientifico e presenta evidenti rischi che interessano la pratica clinica. Già nel 2012 il presidente della Società di psichiatria, Claudio Mencacci, all’epoca del prelievo forzoso del bambino di Cittadella, sul Corriere della sera (La sindrome e le false tesi supposizioni, Corriere della sera, 15/10/12) scriveva: ‘Come è possibile, per una condizione non ascrivibile a disturbo, sindrome o malattia riconosciuta dal mondo scientifico, indicare una terapia? Come è possibile che possa essere utilizzata a supporto di interventi in ambito giudiziario? Questo trattamento genericamente denominato PAT (Parental Alienation Treatment) ha diverse forme di applicazione tra cui le più note: Family Bridges, Reunification therapy, Camps of reunification; ma anche il Reconnecting Family Relationship, (Refare Program, 2018).

Esso originariamente faceva capo alla PAS teorizzata dallo psichiatra statunitense R. Gardner con il Transitional site programiii. Il trattamento PAT ha basi comuni che partono dall’ipotesi indimostrabile di un rifiuto del bambino verso un genitore (il padre, nella maggioranza dei casi) come prodotto del condizionamento materno (nella maggioranza dei casi) e procedono poi con un allontanamento ex abrupto del bambino dalla madre condizionante, e da tutto il contesto di vita abituale, per isolarlo in un altro contesto, cosiddetto neutro ovvero sconosciuto, in cui non rivedrà la madre per un tempo indefinito, ma sarà messo in sedute coattive a contatto con il padre, dovendo rivedere in questi contatti le proprie esperienze e percezioni. Nel suo complesso l’intervento – di fatto indicato nelle consulenze come finalizzato tout court al decondizionamento o riallineamento del minore – si presenta verosimilmente come altamente traumatico e non esistono prove dei suoi benefici. Esso comunque, per consenso di molti, produce danni più che benefici e avviene al di fuori delle norme etiche e deontologiche delle professioni sanitarie”.

“Le tecniche terapeutiche di decondizionamento, pur dichiarate negli obiettivi, cioè la separazione fisica e psicologica del minore, nell’età prevalente tra 5 e 10 anni, dal genitore supposto alienante (la madre in genere), sono affidate nella loro attuazione a personale che non riporta le metodologie seguite né offre documentati riscontri sul trauma da separazione dal genitore preferito (la madre in genere), nemmeno quando la separazione avviene attraverso l’uso della forza pubblica (personale di polizia coadiuvato da personale socio sanitario e di servizio sociale). Allo stato della ricerca, queste pratiche di intervento clinico (separato dal contesto valutativo delle consulenze) raccolgono un giudizio largamente negativo tra esperti, associazioni, e organismi internazionali (Vedi anche la raccolta bibliografica sul sito di Protocollo Napoli https://drive.google.com/file/d/1tCZd901YFmOHsVmBiTisxSZJLI2Xq5w6/view).

Inoltre molti esperti hanno rilevato gli effetti della nocività traumatica di questo trattamento, cui mancano credenziali di scientificità e – di conseguenza, di adeguatezza a standard clinici di efficacia e non nocività per lo sviluppo del minore. Tra le numerose critiche contro questo trattamento forzoso e traumatico segnaliamo quelle avanzate da 352 esperti, accademici, ricercatori che sono intervenuti con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2019iv, presentando una memoria sia sulla non scientificità della PAS/AP, sia sulla traumaticità dei trattamenti di riunificazione tra genitori rifiutati e minori. Dal punto di vista etico possiamo rappresentare il fatto che la terapia forzosa non sia in linea con i principi etici formulati dall’Associazione degli Psicologi Americaniv”.

Inoltre proseguono le specialiste di Protocollo Napoli “ricordiamo che i trattamenti che riguardano la salute delle persone rientrano nei percorsi diagnostico trattamentali assistenziali (PDTA) del sistema sanitario, l’unico abilitato a dare ad essi una patente di validità ed efficacia, e quindi non possono essere disposti in ambito giudiziario. Ogni atto clinico, infatti, non può essere imposto e non può avere mai carattere coercitivo (art. 32 della nostra Costituzione) a meno che non ricada nella fattispecie prevista dal nostro ordinamento di un trattamento o accertamento sanitario obbligatorio (TSO o ASO). Rivolgiamo a tutti i referenti impegnati nelle attività di formazione in psicoterapia l’invito a riflettere sulla metodologia del trattamento PAS/AP, sui suoi rischi clinici e sui potenziali danni per l’integrità psico-fisica di donne, bambini/e, adolescenti. Chiediamo un impegno professionale sia per contrastare le cattive prassi coercitive e traumatiche per i bambini e le loro madri (come indicato dalla citata Raccomandazione delle Nazioni Unite) sia per difendere la dignità della professione psicologica basata sul consenso, l’ascolto dell’utente, sul criterio deontologico del primum non nocere e sul rifiuto dell’autoritarismo; chiediamo altresì di sottoscrivere questa dichiarazione inviando l’adesione a psicologia.protocollonapoli@gmail.com”, concludono.

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