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Green pass, 25 giuristi presentano un esposto sulle condizioni di liceità

Gli avvocati hanno indirizzato il documento al Garante della privacy. "La pandemia non deve indurre a forzare troppo la mano su diritti e libertà fondamentali"

Pubblicato:15-02-2022 19:16
Ultimo aggiornamento:15-02-2022 19:16

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ROMA – Un esposto sulle condizioni di liceità del Green pass. Un documento, formato da sei pagine, indirizzato al Garante per la protezione dei dati personali. Lo hanno firmato 25 avvocati, depositandolo telematicamente al protocollo del Garante stesso. Tra i firmatari anche il presidente di Anorc Professioni (Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Custodia di contenuti digitali – anorc.eu), avvocato Andrea Lisi, che alla Dire spiega: “Non da oggi, ma già mesi fa, più volte, avevo sottolineato che la strada dell’emergenza – e anche delle emozioni – che comporta lo stato della pandemia non ci deve indurre a forzare troppo la mano su diritti e libertà fondamentali. In questo caso, e parlo da vaccinato e da persona assolutamente favorevole al vaccino, il Green pass non può essere una scorciatoia per imporre il vaccino attraverso strade alternative a ciò che prevede la Costituzione”.

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Il presidente di Anorc Professioni ricorda che “come hanno già sottolineato vari studiosi e analisti, professori di diritto costituzionale, presidenti emeriti della Corte costituzionale, giudici di alto livello, nel momento si vuole arrivare ad imporre in qualche modo il vaccino e quindi renderlo un obbligo generalizzato, la strada è quella dell’articolo 32 della Costituzione. Questo articolo spiega che la compromissione di un diritto fondamentale come quello della salute può arrivare soltanto attraverso una legge che specifichi le finalità e anche gli indennizzi, nel momento in cui il vaccino dovesse avere delle controindicazioni da parte di coloro che sono obbligati ad utilizzarlo come metodo di prevenzione, perchè nessuno vuole mettere in discussione l’utilità di questa soluzione”.


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Invece, secondo Lisi, “si è intrapresa una strada che, così come portata avanti in Italia, rischia di non essere nello spirito del diritto Ue, perché il Green pass effettivamente è previsto dall’ordinamento europeo, ma come strumento di circolazione delle persone negli e tra gli Stati membri, minimizzando il più possibile il trattamento dei dati personali. Invece, mi sembra che si stia utilizzando questo strumento in maniera impropria, non più per garantire la circolazione tra i vari Stati europei ma, invece, in qualche modo per estorcere un consenso allo strumento del vaccino. E questo non è possibile, perché si tratta di un modo un po’ ‘peloso’, quindi di una scorciatoia non consentita e in palese contrasto con ciò che la Costituzione prevede. Perché, se questi vaccini servono, è giusto che un governo, in maniera autorevole, li renda obbligatori. Ed io sarei assolutamente favorevole a questo, nel momento in cui ci siano tutti i presupposti previsti dalla Costituzione”.

Andrea Lisi sottolinea inoltre che “il rischio è che da una parte si stia facendo un bilanciamento che di fatto è impossibile a livello costituzionale tra diritto alla salute e diritto del lavoro. Abbiamo una Repubblica fondata sul lavoro, diritto che stiamo comprimendo in modo totalmente irragionevole. Ritengo che questa sia una strada davvero antidemocratica, autoritaria e che non ci possiamo permettere”.

Secondo Lisi, quindi, “si corre il rischio che questo Green pass, come strumento di controllo, possa poi essere utilizzato per tantissime altre cose da uno Stato che comincia ad abituarsi troppo al suo potere, un potere non più autorevole, ma autoritario e di controllo incredibile, perché una volta superato un limite, poi li superiamo tutti. E da studioso del diritto, da persona attenta alla democrazia, in cui credo, dobbiamo invece abituarci a stare sempre nell’alveo della Costituzione, che ci protegge e ci tutela. La nostra Carta costituzionale consente l’obbligo vaccinale, ma va utilizzato correttamente, secondo l’articolo 32′.

Sull’obbligo di Super green pass per gli over 50, in vigore da oggi, Lisi si dichiara piuttosto scettico e afferma che “si tratta di una cosa assolutamente discrezionale. Non capisco perché un quarantottenne non ha questo obbligo rispetto a un 52enne. Quali sono gli studi che hanno portato a stabilire il compimento del 50esimo anno per portare a questo Green pass rafforzato? Anche su questo esprimo fortissimi dubbi, perché uno Stato che arriva a determinare questo tipo di obblighi che riguardano solo una parte della popolazione, in maniera trasparente dovrebbe cercare di spiegare alla popolazione perché è arrivato ad imporre quel limite. Se si stanno in qualche modo limitando diritti e libertà, e durante la pandemia abbiamo compresso dei diritti, tra cui la libertà di circolazione, in quei casi bisogna spiegare alla popolazione perché si sia arrivati a prendere quella decisione. A mio avviso è mancata moltissima trasparenza e mi sembra che molte scelte siano addirittura arbitrarie”. Lisi dichiara infine: “Personalmente, avrei esteso l’obbligo vaccinale per tutti i maggiorenni, fatte salve ovviamente le categorie dei fragili, mentre solo per i più piccoli avrei sentito il parere dei pediatri sulla necessità o meno del vaccino”.

A redigere l’esposto anche l’avvocato Enrico Pelino, il quale come Lisi si occupa da tempo di diritto alla protezione dei dati personali. Il legale ribadisce che “le condizioni di liceità del Green pass sono totalmente carenti. Ci sono regole previste a livello euro unitario, quindi della Ue, che non sono state osservate e anche regole nazionali che, a nostro avviso, sono state aggirate. Fondamentalmente l’esposto vuole porre questo tema con forza e all’attenzione dell’interlocutore istituzionale a cui è necessario rivolgersi, ossia il Garante per la protezione dei dati personali, perché il Green pass è un trattamento di dati personali sensibili”.

Secondo l’avvocato Pelino “manca, o è del tutto indeterminata, la finalità del trattamento. Quando si fa un trattamento dei dati personali è fondamentale indicare la finalità, criterio strutturale da cui dipende tutta una serie di altre norme. Del resto, è anche una questione di buon senso, perché la finalità indica il motivo per cui si sta facendo qualcosa. Ora, se questa cosa che faccio è molto rilevante, come in questo caso, perché ha delle conseguenze spaventose sulla vita delle persone e riguarda i loro dati sensibili, siamo diventati tutti controllati e controllori, una cosa che non si era mai vista in questo Paese, bisogna sapere in maniera chiara e precisa quale sia l’obiettivo”.

Il legale aggiunge: “Se la finalità è quella di prevenzione del contagio, come si trova nel decreto legge 52 del 2021, questa finalità deve essere effettivamente perseguita dallo strumento del Green pass, ma così non è. Basta infatti guardare il bollettino dell’Iss, da cui emerge che anche i vaccinati contagiano. Nonostante il vaccino si prende il virus e lo si trasmette agli altri, non è che venga bloccata la trasmissione della pandemia. Quindi quando viene dichiarata quella finalità di salute pubblica è generica, quando viene precisata viene addirittura contraddetta dai dati ufficiali. Questo è particolarmente grave: non si può pensare di incidere in maniera così profonda sulla vita delle persone, avere obiettivi così poco definiti che vengono addirittura contraddetti, questa è una situazione che non ha precedenti”.

Pelino si mostra critico anche sulla durata del Green pass. “All’inizio erano 6 mesi, poi 12, poi ancora 9, poi 6 e poi per il Green pass rafforzato la durata diventa infinita. Non c’è un rapporto tra lo strumento e le esigenze mediche. C’è, invece, un rapporto tra lo strumento e le esigenze politiche”. L’avvocato parla inoltre di “una vera e propria discriminazione, introdotta con decreto-legge 5 del 2022, tra italiani e soggetti che vengono da altri Paesi. Nella durata del Green pass c’è un tempo diverso e questo non ha alcuna base logica possibile”. Il legale ritiene, infine, “particolarmente grave quanto affermato dall’arco governativo in merito alla funzione del Green pass chiamato a forzare la volontà, perché crea un peso psicologico ed un peso di tipo economico. Evidentemente sta dichiarando che la finalità è quella di forzare, di esercitare una coercizione verso una scelta che, invece, sarebbe formalmente libera“.

Secondo l’avvocato del Foro di Milano, Diego Fulco, anch’egli firmatario dell’esposto, il Green pass viola la protezione dei dati “perché si è fatta confusione fra trattamento sanitario e trattamento dei dati. La Costituzione permette di rendere obbligatori i vaccini, se ce ne sono le premesse. Invece in questo caso si è fatta un’operazione diversa, cioè non si è reso il vaccino obbligatorio se non recentemente per gli over 50, ma si è utilizzato uno strumento surrettizio, per spingere in qualche modo verso la vaccinazione e questo strumento comporta una raccolta, un trattamento di dati personali su vastissima scala e che vede coinvolti moltissimi soggetti“.

L’avvocato Fulco precisa inoltre che “lo Stato ha delegato a datori di lavoro, palestre, scuole, esercizi commerciali per verificare l’avvenuta vaccinazione. Questo ha comportato una sorta di gigantesca condivisione di dati e anche di consultazione in tempo reale di dati, sproporzionata rispetto all’obiettivo e che, soprattutto per alcune delle evoluzioni dell’ultimo decreto, delle ultime norme, può essere discriminatoria”. Il legale del Foro di Milano si sofferma sul fatto che “il datore di lavoro, attraverso il Green pass rafforzato, sappia che un lavoratore è contrario al vaccino” e ammonisce: “Lo Stato non dovrebbe creare una situazione in cui il datore di lavoro viene a conoscere questa situazione, perché questo è tema di rapporto fra lo Stato e il cittadino, non fra datore di lavoro e lavoratore. Anche perché ora la vaccinazione è un tema di scelte, non soltanto un tema sanitario, perché ci sono alcune persone che, sulla base di valutazioni proprie, non se la sentono di vaccinarsi, non vogliono farlo”.

Diego Fulco tiene a informare che “questa è una scelta individuale e, come tale, deve riguardare, anche nelle sue conseguenze, il rapporto tra lo Stato e il cittadino. Se questo, invece, si sposta sul rapporto fra la scuola e l’alunno, la scuola e la famiglia dell’alunno, il datore di lavoro ed il lavoratore, la palestra e la persona che va ad allenarsi e infiniti altri esempi, noi andiamo ad introdurre un uso di dati personali sproporzionato, eccessivo e sovrabbondante e questo non è legittimo ai sensi della normativa europea sulla protezione dei dati personali, ai sensi della Gdpr”.

L’avvocato Fulco continua: “In tutta Europa sono state valutate ed utilizzate soluzioni, ma la scelta di puntare moltissimo sul Green pass come strumento anche di ritorno alla normalità e di pressione surretizia al vaccino, è una scelta italiana, diversa da quella di altri governi. A mio avviso, e secondo tutti i miei colleghi con i quali abbiamo firmato questo esposto, tutto questo sistema che è stato costruito non è conforme al Gdpr, cioè a delle regole che vincono sulle leggi nazionali, perché le norme europee sono sopra le norme nazionali”. Infine, quello che secondo Fulco è un problema di fondo: “È stato forzato in un modo non accettabile un principio fondamentale, quello della appropriatezza, secondo cui qualcuno può avere informazioni su qualcun altro. Se noi cediamo su questo, parlare di privacy non ha davvero più senso“, conclude.

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