NEWS:

Bahrein, Mushaima: “Mio padre all’ergastolo per diritti e dignità”

L'attivista alla Dire: "Occidente guardi agli abusi, non solo agli accordi economici"

Pubblicato:15-02-2022 18:22
Ultimo aggiornamento:15-02-2022 18:22

Bahrein_Mushaima
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “Preferisco restare in prigione da uomo libero, che tornare a casa e vivere da schiavo, senza dignità”. Con queste parole Hassan Mushaima ha detto no alla proposta giunta dalle autorità del Bahrein di porre fine al suo ergastolo a patto di rinunciare all’attivismo politico. A raccontare la sua storia all’agenzia Dire è il figlio Ali Mushaima, residente a Londra, da dove continua a battersi per la liberazione del noto attivista e politico del Bahrein di 74 anni.

Hassan Mushaima fu animatore delle rivolte del 1994, e anche allora, ricorda il figlio, venne incarcerato due volte: “Durante quelle proteste la gente come lui veniva arrestata solo perché chiedeva riforme politiche o della polizia, libertà democratiche, e la fine della corruzione. Venivano attaccate anche le case e i famigliari degli attivisti”.

Il leader politico venne nuovamente incarcerato nel 1995, nel 1996 e nel 2001. Nel 2005 Mushaima venne nominato segretario generale del partito di opposizione Haq Movement for Liberty and Democracy, quindi finì in carcere ancora nel 2007 e nel 2009. Per la sua partecipazione alle proteste del 2011 – scoppiate in Bahrein sulla scia delle rivolte arabe – venne infine condannato al carcere a vita.


“Sono più di dieci anni che mio padre è tenuto dietro le sbarre in condizioni terribili– denuncia Ali Mushaima- gli negano le cure e ha scarsi contatti con la famiglia e il mondo esterno, che si sono azzerati con la pandemia. Qualche mese fa, una volta uscito da un ricovero in ospedale (Ali Mushaima è già sopravvissuto a un linfoma, ndr) ha rifiutato il rilascio e io capisco le sue ragioni: è una prassi in Bahrein rimandare a casa i detenuti di coscienza dietro la promessa del silenzio, ossia di interrompere ogni attività politica e non rilasciare più dichiarazioni. Ma nella sua vita- avverte il figlio- è stato arrestato tante volte, quale garanzia avrebbe di non essere rinchiuso di nuovo?”.

Il Regno del Bahrein, che in arabo significa “la terra tra i due mari”, è una monarchia costituzionale dove il governo è nominato dal re. L’attuale primo ministro è l’erede al trono, Sheikh Salman bin Hamad al-Khalifa. Questa isola del Golfo persico, che dista una trentina di chilometri dall’Arabia Saudita e dal Qatar, torna nelle cronache occidentali per i giacimenti di petrolio, i campionati di Moto Gp o per le sue opportunità di investimento che evocano i fasti delle grandi “petromonarchie”.

Ma come chiarisce Ali Mushaima “non è un Paese ricco. Dipende dagli aiuti di Arabia Saudita e Kuwait, ed è più piccolo del Qatar. L’economia non è stabile, i salari sono bassi e quindi ci sono molti poveri”. Ma il problema principale secondo l’attivista “è la mancanza di diritti. In Bahrein non si possono criticare le istituzioni, la gente non si rappresentata e non può prendere parte alle decisioni”. Un esempio su tutti: “La popolazione ha libero accesso solo al 6% delle spiagge. Il resto appartiene alla famiglia reale o a imprenditori e miliardari. Anche sui terreni ci sono limitazioni. È come vivere in un grande carcere”.

E chi chiede il cambiamento spesso finisce davvero in prigione: “sono circa 1.500 i detenuti di coscienza- continua Ali Mushaima- su una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, ma purtroppo non abbiamo stime esatte. Sappiamo però che spesso subiscono torture”, e questo nonostante il Bahrein abbia siglato la Convenzione Onu contro la tortura e Patto Internazionale sui diritti civili e politici.

Per denunciare tutto questo, Ali Mushaima a fine 2021 si è accampato per quasi un mese di fronte all’ambasciata del Bahrein a Londra, sostenendo al contempo uno sciopero della fame: “Non era la prima volta che lo facevo, nel 2018 ho scioperato per 46 giorni. Ma lo scorso dicembre finalmente sono venuti a trovarmi una decina di parlamentari, tra cui anche il leader laburista eremy Corbyn, che poi hanno organizzato un dibattito alla Camera dei Comuni”.

Un’iniziativa che “ha attirato anche maggiore attenzione da parte dei media” ma “non dal governo di Londra- lamenta l’attivista- perché in questi anni, dal ministero degli Esteri continuano a dire che ‘monitorano la situazione’ senza chiarire cosa significhi e quali azioni comporti”.

Per Mushaima il problema è che “si vogliono mantenere ottime relazioni economiche, come la vendita di armi. I governi non sono disposti a lasciarsi disturbare dalla questione dei diritti umani. Prendiamo il caso della guerra nello Yemen: è evidente che la gente sta morendo di fame, ma nessuno si accorge che i sauditi (a capo di una coalizione militare internazionale, ndr) stanno manovrando i Paesi occidentali per continuare a portare avanti i loro interessi in quel Paese”.

Sul tema, domani alle 18 l’organizzazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (Adhrb) organizza un dibattito online con giornalisti, politici ed esperti dal titolo ‘Il Bahrein undici anni dopo la Primavera Araba: Una panoramica sui diritti umani tra prigionieri politici e altre violazioni’.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it