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Islamici sotto sfratto a Milano, Mahmoud: “Ci negano un luogo di culto dignitoso”

Lo sfratto della Casa della cultura islamica di via Padova 144 (in un garage) era fissato per oggi. E' stato rinviato al 15 aprile

Pubblicato:15-02-2017 17:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:54

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MILANO – “Forse dovrei restituire l’Ambrogino d’oro“: è amareggiato Asfa Mahmoud, direttore della Casa della cultura islamica di via Padova 144. La sua comunità è sotto sfratto: era previsto per oggi, ma l’ufficiale giudiziario ne ha rimandato l’esecuzione al 15 aprile. “E’ così da quasi un anno, la proroga è sempre di appena due mesi, siamo costantemente sotto pressione”. E col passare del tempo si riducono le possibilità di ottenere proroghe. La proprietà dell’ex garage, nel quale dal 2000 pregano ogni venerdì circa 5.000 musulmani divisi in tre turni, ha deciso di vendere l’immobile. “Stiamo cercando un capannone in zona, che sia abbastanza capiente. Non vogliamo comprare questo garage, perchè è insufficiente”, spiega Asfa Mahmoud. Ma l’amarezza nasce dal fatto che in oltre 25 anni, tanti ne compie la Casa della cultura islamica, dalle istituzioni sono arrivati solo veti ad ogni proposta o progetto per edificare una vera moschea. “Siamo considerati la comunità più aperta, più disponibile al dialogo, mi hanno anche assegnato l’Ambrogino d’oro, ma poi non ci è mai stata data la possibilità di avere un luogo di culto dignitoso. Tra i fedeli c’è malcontento. I nostri figli, nati e cresciuti in Italia, non si capacitano di questa cosa. Loro sono italiani, questo è il loro Paese, ma non viene loro garantito il diritto alla libertà religiosa”.

Mahmoud Asfa

Se si guarda la storia della Casa della cultura islamica di via Padova emerge tutta la miopia della classe politica milanese e lombarda da almeno 25 anni. Il centro fu fondato in via Padova nel 1992. Nei primi anni i pochi giovani studenti musulmani di Milano si ritrovavano a pregare in uno scantinato. Dal 2000 il centro si è trasferito nell’ex garage del civico 144, all’interno di un cortile condominiale. Può ospitare circa 400 persone. Per la preghiera del venerdì vengono organizzati tre turni e affittata anche una palestra comunale (in via Iseo). Nel 2005 i dirigenti del Centro avevano individuato e acquistato, per un milione e 400.000 euro, un edificio vicino a Cascina Gobba, in fondo a via Padova. Nel 2007 avevano presentato un progetto che prevedeva la costruzione di una grande sala di preghiera, una biblioteca e un centro studi. La Giunta Moratti l’ha bocciato, ufficialmente per motivi tecnici, ma in realtà per motivi politici. Tanto che Asfa Mahmoud aveva ripresentato un secondo progetto, per venire incontro ai rilievi del Comune, ma non ha più avuto risposte. L’attesa ha però spaccato la comunità: un gruppo di fedeli ha infatti deciso di entrare comunque nell’edificio a Cascina Gobba. Hanno rinunciato al progetto iniziale e l’hanno ristrutturato senza modificare la struttura. Ne è nato anche un contenzioso tra le due comunità, che non si è ancora risolto. Da allora comunque in via Padova, che è lunga più di quattro chilometri, ci sono due centri islamici. Con l’elezione di Giuliano Pisapia, nel 2011, sembrava che il vento fosse cambiato. Ma non è stato così.

L’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, ha infatti emanato un bando per l’assegnazione di tre aree su cui costruire luoghi di culto: una di queste era in via Esterle, negli ex bagni pubblici, a qualche centinaio di metri dall’ex garage della Casa della cultura islamica. Bando che Asfa ha vinto, dopo che gli uffici comunali hanno scartato un’altra sigla islamica, la Bangladesh cultural and welfare association, anch’essa interessata all’edificio di via Esterle, in quanto aveva in corso un contenzioso con il Comune. L’associazione dei bengalesi ha ovviamente presentato ricorso. Nel frattempo, però, il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la cosiddetta legge antimoschee, che pone severi paletti alla costruzione di qualsiasi luogo di culto, imponendo ai Comuni, tra l’altro, di redigere un “piano delle attrezzature religiose”, ossia una specie di piano regolatore degli edifici religiosi. Il Comune di Milano ha cercato di resistere alla legge antimoschee, sostenendo che il bando era comunque valido. Ma poi, nel giugno scorso, ha ceduto e ha annullato il bando. “Una beffa -dice Asfa Mahmoud- la partecipazione al bando, con il relativo progetto, ci è costata 40mila euro. Abbiamo buttato via soldi e tempo per niente”. Ora la questione è in mano alla vice sindaca Anna Scavuzzo, che ha iniziato una serie di consultazioni con le comunità religiose, per arrivare, se va bene tra due anni, alla stesura del Piano delle attrezzature religiose. Una storia infinita.


(Dires-Redattore sociale)

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