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L’orologio di Mazzarri segna il ritorno al futuro del Napoli

Mazzarri aveva lasciato Napoli da taumaturgo. Ora lo riprende in discesa libera dal picco

Pubblicato:14-11-2023 15:09
Ultimo aggiornamento:14-11-2023 15:11
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NAPOLI – E’ dal 2013 che Walter Mazzarri indica l’orologio. Non ha mai smesso. Ha ottenuto dieci anni di recupero. Di nuovo sulla panchina del Napoli, con un cortocircuito spazio-temporale che ha trasportato la squadra campione d’Italia dallo scudetto alla crisi in sei mesi. E’ il ritorno al futuro di De Laurentiis.

“E poi ha cominciato a piovere”, direbbe ancora oggi non fosse che il tormentone del piangina gli ha quasi rovinato la carriera. Il Napoli gli è piovuto letteralmente addosso, più che altro per autoesclusione dei concorrenti. L’unico ad accettare un contratto da sette mesi, il classico traghettatore per altri lidi magari più esotici. E’ tutto un dejavu: al posto di Donadoni c’è Garcia, per il resto è una restaurazione quasi brutale. La stagione 2022/23 finisce in archivio come una parentesi storica, quasi onirica.

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Dal Cagliari ai campioni d’Italia con in mezzo il vuoto. Non è Mazzarri: è Tamberi. Appena qualche settimana fa dettava al Corriere dello Sport: “Non ho sentito nessuno del Napoli. Sono balle”. Però ricordava con affetto quasi melenso le telefonate alle sei del mattino di De Laurentiis. “Io sono uno stakanovista, quando lavoro sono un martello, anche per questo mi sono concesso delle pause“. Ecco: “pause”. E’ lo stesso concetto dell’anno sabbatico. Altri la chiamano disoccupazione, ma Mazzarri non può smentire una solida carriera da finto modesto.

E’ un revival, per Napoli. Le mille premesse di ogni risposta con un “chi ne capisce di calcio sa…”, cosicché l’interlocutore ha due opzioni: o gli dà ragione o ammette di non capire di calcio. L’incasso agonistico dei complimenti, e la rilettura magica delle critiche. La litania dei gol subiti da avversari sempre “cinici”, e la consequenziale conta – parzialissima – delle proprie occasioni. Altro sillogismo da tradurre, per Mazzarri il cinismo è “culo”.

Mazzarri è uno stratega del riassunto post-partita a proprio uso e consumo. Perciò l’arbitro è sempre il nemico, perché se hai perso 4-0 e ti sono stati negati 4 falli laterali e una punizione a centrocampo, il capro espiatorio è lì e la pira è accesa e bella calda. C’è una vasta letteratura di scuse paraboliche. Dal “San Paolo soporifero perché oggi è il compleanno di Cavani”, a “bisognerebbe cambiare un po’ le regole, ogni tot angoli battuti, ogni tot pali, andrebbe assegnato un gol”, all’unica “attenuante è che mezza squadra è influenzata, 4-5 giocatori hanno avuto la febbre e uno addirittura ha giocato con la diarrea”. Un mattatore, Mazzarri.

Ai tempi d’oro Mazzarri lascia entrare il giornalista di Sportweek a casa sua, ammonendo che “chi lo conosce mi ama”, ma butta lì, con godereccia noncuranza: “Sì, io e Pep Guardiola vediamo il calcio allo stesso modo”. Perché all’estero lo capiscono e lo apprezzano e lo notano e lo premiano. A Napoli invece “c’è malafede”, si vuol rovinare il suo “gioiellino”. Che era fatto di grandi giocatori all’epoca, ma soprattutto di un grande tecnico. Ci teneva proprio: “Non dite che sono un gran motivatore, io sono un tattico”.

Mazzarri aveva lasciato Napoli da taumaturgo. Lo diceva sempre: “Abbiamo fatto i miracoli, prima di noi il Napoli era lì in fondo”. Ora lo riprende in discesa libera dal picco, ma in un’altra dimensione. Il copione, riadattato sulle alterne fortune sue e del club, è più o meno lo stesso. Scelto come “fixer”, per mettere una pezza, e tirare avanti. Demolendo tutti i luoghi comuni: a Napoli il passato non se lo scorda mai nessuno. Perché a volte ritorna.

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