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“Ritrovate i nostri figli dispersi in mare”, in Tunisia la protesta delle famiglie

La giornalista Giulia Filpi riferisce anche dell'impatto della crisi economica e delle proteste dei migranti subsahariani a Tunisi

Pubblicato:14-10-2022 16:09
Ultimo aggiornamento:14-10-2022 16:09

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La parola “frontiere” macchiata di sangue

ROMA – Scontri tra forze dell’ordine e cittadini hanno avuto luogo a Zarzis, città sulla costa nord-orientale della Tunisia. A innescare la protesta, la scomparsa nel mar Mediterraneo di una barca di migranti il 21 settembre scorso. Le famiglie dei dispersi denunciano che le autorità avrebbero fatto ben poco per salvare i propri cari. Il ritrovamento in mare, lunedì scorso, dei corpi senza vita di otto persone da parte di alcuni pescatori ha aggravato le tensioni: “Rivogliamo i nostri figli” ha scandito ieri la folla, composta secondo alcune fonti da centinaia di persone che hanno anche bloccato la strada principale con pneumatici incendiati.
A confermare questa situazione c’è anche la Lega tunisina per i diritti umani (Ltdh) secondo cui le autorità “non hanno dedicato le risorse necessarie alle operazioni di ricerca e soccorso in modo tempestivo”. La Lega chiede inoltre “un’indagine sulle sepolture”, sollevando così un’altro aspetto critico della vicenda.

FILPI (GIORNALISTA): CRISI ALIMENTARE SENZA PRECEDENTI

All’agenzia Dire Giulia Beatrice Filpi, giornalista da pochi giorni rientrata da Tunisi, riferisce che “dalle informazioni disponibili emerge che alcuni degli otto corpi ritrovati – e che non è chiaro se appartengano ai naufraghi del 21 settembre – sarebbero stati seppelliti nel cimitero dei migranti ‘Jardin d’Afrique’ senza prima effettuare il test del Dna per risalire all’identità delle persone e senza aver informato le famiglie coinvolte nel naufragio di settembre”. Filpi aggiunge: “A Zarzis c’è una forte mobilitazione spontanea legata all’indignazione di tanti tunisini, in una fase in cui è nell’aria un nuovo autunno caldo, con l’inflazione al 9% e una crisi dei generi alimentari senza precedenti”. Tutte cause che spingono tante persone a tentare vie irregolari e spesso letali pur di raggiungere l’Europa.


A TUNISI IL SIT-IN DEI RIFUGIATI SUBSAHARIANI

Filpi ha seguito anche le proteste che da mesi si registrano a Tunisi davanti la sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), organizzate dagli africani dei Paesi a sud del Sahara, dove si concentrano quei migranti che rivendicano lo status di rifugiato non solo per i conflitti che si lasciano alle spalle ma anche il razzismo che subiscono in Tunisia. Tra questi, la comunità dei sudanesi è tra le più numerose: “Non ho incontrato neanche una persona che non mi abbia raccontato storie di enormi difficoltà, violenze e disagio” riferisce Filpi.

I migranti subsahariani, riporta ancora la cronista, chiedono all’Unhcr “di ottenere dei servizi ma anche di essere trasferiti verso Paesi terzi, in Occidente o altrove. C’è chi accetta anche il rimpatrio. Secondo i difensori per i diritti umani che ho contattato- argomenta la giornalista- la stretta autoritaria che il presidente Kais Saied ha avviato dal luglio 2021 ha reso la Tunisia un paese non sicuro per i migranti, sebbene l’Unhcr affermi il contrario”.

NON RESTA CHE TORNARE IN LIBIA

Per chiarire il punto, Filpi aggiunge: “Ci sono migranti che mi hanno confidato di essere pronti a tornare in Libia“. Un paese dove, secondo report dell’Onu, i migranti subiscono torture ed estorsioni pur di poter continuare il viaggio verso l’Europa.

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