Getting your Trinity Audio player ready...
|
Di Laura Monti
ROMA – “Ritengo che la parola amministratore delegato significhi un ruolo da rivestire, una responsabilità da prendersi. Non sento la necessità di doverlo cambiare per il fatto che adesso sono arrivata io che sono donna”. Esordisce così ai microfoni della Dire Claudia Mona, ‘amministratore’ delegato di Secondo Mona, storica azienda italiana del settore aeronautico, di Somma Lombardo, di cui Claudia Mona rappresenta ormai la quarta generazione. Per la manager, quella di amministratore delegato rappresenta “la casellina più alta dell’organigramma da raggiungere e non mi sono mai posta il tema che fosse declinata al maschile o al femminile”.
Stesso titolo, dunque, ma non stessa modalità di leadership perché in questo ambito “incidono molto anche le proprie caratteristiche personali, le competenze, ma anche sensibilità proprie, formazione culturale generale e stile della persona, il bagaglio che ci si porta dietro”, precisa. E il bagaglio di una donna è necessariamente diverso da quello di un uomo, “per il tipo di sensibilità, la capacità di vedere i problemi in un contesto più ampio, per la famosa vista trasversale, la sensibilità nei rapporti umani. L’uomo può essere più deciso, porsi meno scrupoli e procedere in modo più lineare. A me piace lavorare e prendere decisioni dopo un esercizio corale con la mia squadra dirigente – sottolinea Mona – che mi piace coinvolgere nelle decisioni aziendali affinchè siano condivise e dibattute. Il percorso è un po’ più lungo, ma la decisione arriva in maniera naturale”.
Una leadership partecipativa quella di Claudia Mona, che ha preso in mano un’azienda fondata dal bisnonno Secondo nel 1903 (“una start-up dell’epoca”) come negozio di vendita e riparazione di biciclette e motociclette progressivamente diventata un pilastro dell’industria aeronautica italiana: nel 1913 è iniziata la manutenzione dei primi motori aeronautici poi la costruzione dei motori per conto di terzi, poi dal ’23 la progettazione dei propri prodotti. “Uno sviluppo rapido, un successo”, lo definisce Claudia Mona, che ha accompagnato la storia del nostro Paese, “dai record degli anni ’20 e ’30 alle trasvolate atlantiche di Italo Balbo, è arrivata alla Seconda Guerra Mondiale nel suo massimo periodo di espansione”.
Poi è sopraggiunta la necessità di diversificarsi e innovarsi ma sempre mantenendo “il filone principale, con la manutenzione degli equipaggiamenti installati sui velivoli americani rimasti in Europa e Italia e poi partecipando con le proprie produzioni a tutti i programmi aeronautici italiani ed europei e avviando negli anni ’80 collaborazioni con l’industria aeronautica statunitense e con quella indiana negli anni ’90, per diventare negli ultimi venti anni un’azienda rivolta al mercato aeronautico globale“.
Una storia lunga quasi 120 anni, di cui oggi Claudia Mona raccoglie il testimone dopo una preparazione “ampia e aperta al mondo: a diciotto anni parlavo cinque lingue – ricorda – all’università ho scelto Scienze politiche con indirizzo internazionale, poi un master dell’Ispi, l’istituto di politica internazionale di Milano, stage a Bruxelles in Commissione europea, lavori in Germania, a Londra e Milano…”. Poi “il richiamo familiare ad inserirsi in azienda, dove ho trovato un terreno per me molto diverso, fortemente tecnico e prettamente maschile, anche militare, e localizzata in provincia”.
All’inizio Mona si è occupata di comunicazione, con l’organizzazione del centenario dell’azienda nel 2003: “Mi ha dato molta soddisfazione ed è stato un trampolino di lancio personale in azienda”. Dalla comunicazione, la manager è poi passata all’aspetto economico e finanziario dell’azienda, su cui “c’è molto da guardare perché nelle aziende a carattere così fortemente tecnico questo aspetto tipicamente viene visto un po’ in maniera secondaria. Lì – dice Claudia Mona – potevo avere più spazio”.
Quindi è seguito un master executive MBA in SDA Bocconi per due anni, mentre continuava a lavorare full time in azienda, la presa in carico, oltre all’aspetto economico anche di quello finanziario e, anche di quello delle risorse umane e infine la gestione completa “del passaggio generazionale a tutto tondo dei primi e secondi livelli aziendali, la creazione della mia squadra, con le mie persone, con cui lavorerò nella prossima fase di vita dell’azienda e anche mia”, spiega.
Un percorso professionale ricco di soddisfazioni ma anche di oneri, che lascia poco spazio alla vita privata: “L’azienda è diventata così centrale e dominante anche nella mia vita che ha fatto mettere in secondo piano tutto il resto“. Un’esperienza totalizzante, “sia perché uno è trascinato da questo percorso, dagli stimoli e dalle soddisfazioni che dà, sia perché poi il confronto con una controparte, un partner, diventa sempre più sfidante e difficile”. Alla domanda su eventuali difficoltà nella conciliazione di vita professionale e privato, l’ad ha risposto: “Non mi trovo a dover conciliare molto. Non ho il problema, ma anche l’opportunità e il piacere, di dover conciliare con dei figli e gli impegni in generale che richiede il farsi una famiglia”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it